Le mie considerazioni nascono dalla mia esperienza recente di psicoterapeuta. Un mio paziente intorno ai quarant’anni, sposato e con una figlia che frequenta la scuola elementare, si era innamorato di una ragazza di diciannove anni, conosciuta sul luogo di lavoro. Ciò che più mi colpiva in questa profonda crisi personale del paziente, di temporaneo scombussolamento della sua consueta identità, era la tenacia con cui voleva far proseguire questa storia. Nonostante l’ovvia impossibilità di sostenerla, di cui era ben consapevole, si rifiutava o meglio era incapace di chiuderla. Evidentemente questa relazione, peraltro senza agiti sessuali, gli regalava dei vissuti troppo preziosi per rinunciarvi definitivamente. Infatti descriveva il suo stato d’animo in questo periodo come “infinita leggerezza”, “apertura”, “serenità”, e soprattutto come sentita presenza del suo cuore amorevole. Provava insomma un senso dell’esistenza fortemente intensificato e ringiovanito, quello stesso senso d’esistenza espressa magistralmente da una poesia del giovane Goethe dal titolo Neue Liebe, neues Leben, “Amore nuovo, vita nuova”.

Questo scenario ricorda vivamente il periodo del Romanticismo europeo e soprattutto tedesco. Perché è in quell’epoca, circa duecento anni fa, che l’individuo e il suo sentire assume un’importanza assolutamente nuova. In quanto dotato di “interiorità” e “profondità” dell’anima, per il Romanticismo ogni individuo nel suo sentire è singolare, diverso e originale, e dovrebbe perciò vivere all’altezza della propria originalità. Non sorprende perciò che nella visione romantica i valori centrali della persona siano il cuore e l’amore. In questo senso, come scrive il poeta Novalis (1772 – 1801), il cuore è “chiave del mondo e della vita”; il filosofo Hegel (1770 – 1829) chiama conformemente l’amore romantico una “religione mondana del cuore”.

Ma è fin troppo evidente che questo esaltato individualismo, sentimentalismo e idealismo dei romantici doveva per forza scontrarsi con le condizioni elementari del mondo sociale. Pensiamo in primo luogo agli ostacoli posti dalle relazioni familiari in cui vivono i protagonisti, e naturalmente alle esigenze economiche in una società di mercato. Come in uno specchio, i numerosi romanzi dell’epoca testimoniano fedelmente questo conflitto tra gli ideali e i desideri dei protagonisti e i limiti reali del mondo di cui comunque fanno parte. Nella sua Estetica Hegel, il più profondo critico del Romanticismo, ha felicemente definito questa dicotomia come conflitto tra la poesia del cuore e la prosa delle circostanze. E, come dimostra l’esempio del più famoso di questi romanzi, I dolori del giovane Werther (1774) di Goethe, è possibile che questo conflitto possa risolversi solo tragicamente.

Se siamo passati da un caso clinico attuale al Romanticismo a cavallo tra settecento e ottocento, è per due ordini di ragioni: primo, perché in quel periodo emerge in maniera esemplare e acuita il conflitto strutturale tra individuo moderno e società: ed è davvero sorprendente la chiarezza dei termini in cui, nell’arte e nel pensiero romantico, questo conflitto viene percepito ed espresso.

Il secondo motivo è invece l’intimo legame che ci connette, in quanto psicoterapeuti, col mondo romantico. Infatti, come ho sviluppato in un mio saggio di alcuni anni fa, la psicoterapia è in verità l’erede fedele del Romanticismo.[1] Ciò si evidenzia già nell’enorme attenzione con cui ogni singolo paziente e i suoi vissuti vengono accolti in ogni seduta: il regno della psicoterapia è il regno dei sentimenti. E in analisi bioenergetica, l’esperienza corporea come elemento integrale del processo terapeutico tende a intensificare ulteriormente questa dimensione sentimentale-espressiva, spesso rimossa dalla vita del paziente.

Non sorprende perciò che il conflitto tra il singolo e il suo ambiente, tra la “poesia del cuore” e la “prosa delle circostanze” si ripropone puntualmente nel corso di ogni terapia. E forse si ripropone con particolare intensità in tre ambiti cruciali dello sviluppo: nei vissuti complessi dell’adolescenza, nel plasmarsi dell’identità adulta con l’ingresso nel mondo del lavoro, nonché nella midlife crisis, la spesso dolorosa messa in discussione di tutto ciò che l’individuo era finora riuscito a costruirsi.

Vogliamo con queste osservazioni rassegnarci a una depessiva lacerazione esistenziale, alla perdurante conflittualità o meglio contraddittorietà della vita? Certamente no. In quanto new beginning (M. Balint), la psicoterapia cerca di espandere le capacità del paziente di percepire e gestire se stesso, il proprio corpo e l’ambiente con cui vive; mira a creare un nuovo e più appagante equilibrio tra sé e il mondo. Credo che con questa finalità la psicoterapia si avvicini molto  a un concetto caro a Hegel, Versöhnung, la riconciliazione dell’individuo con le condizioni della sua esistenza. Questa riconciliazione sarebbe da intendere come accettazione consapevole e benigna della vita e del mondo della vita, des Lebens und der Lebenswelt.

Christoph Helferich

Note

[1]    “L’eredità romantica nell’analisi bioenergetica”. In: Christoph Helferich, Il corpo vissuto. La cura di sé nell’analisi bioenergetica. Alpes Italia, Roma 2018, 101 – 136