15 marzo 2022

Il 5 marzo scorso è stato il centenario della nascita di Pierpaolo Pasolini (1922-1975), e tra tre anni sarà il cinquantenario dalla sua tragica morte all’idroscalo di Ostia dove fu ritrovato il suo corpo martoriato dalle botte e dal ripetuto passaggio di un’auto. Aveva 53 anni ed era un esponente di spicco della cultura italiana, provocatorio e ispirato come pochi intellettuali. Mi ricordo quella grigia mattina del 2 novembre in cui appresi dal giornale radio la funesta notizia e rimasi impietrita. Io che ero tra quegli studenti contro i quali si era scagliato col suo “Vi odio, cari studenti”, percepivo un vuoto improvviso che non mi aspettavo. Così sentii il bisogno di unirmi alla manifestazione improvvisata in piazza Campo de’ Fiori, dove, su un piccolo palco, Moravia, l’amico di sempre, gridò con la voce rotta: “Abbiamo perso un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti! Il poeta dovrebbe essere sacro!”. Piangemmo in tanti alle sue parole, a lui che l’aveva conosciuto, anche chi come me era stato oggetto delle sue critiche. Pasolini era, infatti, tutto dentro le problematiche dell’essere intellettuali, a cominciare dalla tensione tra coscienza e corpo, tra intelletto e spontaneità, e da quella posizione percepiva acutamente le contraddizioni insite nel movimento degli studenti.

 

Vorrei, dunque, focalizzare il mio ricordo di Pasolini, come accenno già nel titolo, sulla dimensione dello scandalo di essere corpo da parte di un intellettuale, parafrasando il titolo di un interessante articolo di uno studioso di Pasolini, Paolo Desogus, ricercatore alla Sorbonne di Parigi, “Lo scandalo della coscienza. Pasolini, Gramsci e il pensiero anti-dialettico”. E non è un caso, a mio modesto avviso, che la corporeità tormentata di Pasolini, in quanto intellettuale, si cerchi nel mito greco e insieme nel mito antropologico degli umili, in cui traspare il suo personale vissuto cristiano e comunista. Sicuramente è più che mai oggi affascinante osservare come Pasolini abbia intrecciato, incarnandoli, questi due miti. Egli ricercava, infatti, nel mito una forma di conflitto anteriore alla lotta di classe ma, in qualche modo, ad essa legato, comunque, contro ogni pacificazione delle tensioni esistenziali. In questo senso, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, cominciò a parlare di pensiero anti-dialettico: “Sono privo praticamente e ideologicamente di ogni speranza. Quindi di giustificazioni, di possibilità, di alibi, di procrastinazioni. Da cosa nasce la ‘speranza’, quella della prassi marxista e quella della pragmatica borghese? Nasce da una comune matrice: Hegel. Io sono contro Hegel (esistenzialmente – empirismo eretico). Tesi? Antitesi? Sintesi? Mi sembra troppo comodo. La mia dialettica non più ternaria ma binaria. Ci sono solo opposizioni inconciliabili. Quindi niente ‘sol dell’avvenire’, niente ‘mondo migliore’.” (S. Arecco, 1972, p. 75).

 

Egli, davvero, incarnava tutte le contraddizioni del nostro tempo, da vero intellettuale, o meglio, da vero poeta. Qualche verso scritto per Gramsci, credo, aiuterà a capire cosa intendo: “Lo scandalo del contraddirmi,/ dell’essere con te e contro di te,/ con te nel cuore, in luce,/ contro te nelle buie viscere,/…” (Pasolini, 2003, vol.1, p. 815). Le buie viscere sono la cifra del soggetto spontaneo nel quale risiede il vitalismo che nutre la scrittura di Pasolini. Dal punto di vista propriamente estetico, infine, vale la pena di ricordare – e lo dico con ammirazione – che le due polarità inconciliabili sono anche descritte da Pasolini come il “cuore cosciente” di chi soltanto nella storia ha vita, ma che prova un’attrazione irresistibile per l’infinito magmatico e mitico che è estraneo alla dimensione storica e progressiva del tempo, facendo di questo paradosso materia per la propria poesia e per il proprio cinema.

 

Concludo, dunque, con una citazione dal suo film sul mito di Edipo, L’Edipo re (1967), in cui Pasolini fa dire a Edipo dalla Sfinge, invece dell’enigma: “C’è un mistero dentro di te, qual è?” Al che Edipo si scaglia con ferocia contro la Sfinge, esclamando: “Non lo so, non voglio saperlo!”, mentre la Sfinge, prima di morire, lo ammonisce così: “E’ inutile, l’abisso in cui mi spingi è dentro di te.” Si può dire, a questo punto, che l’Edipo di Pasolini sia un personaggio che rifiuta la verbalizzazione del mistero che abita in lui, emblema dell’impossibilità di risolvere completamente l’essere nel divenire, la vita nella storia, la corporeità nella ragione. In tutto questo sta lo scandalo di un intellettuale che non rinuncia al corpo in favore dell’intelletto, ma anzi ricerca nel vitalismo corporeo e nella sua aura mitica il magma creativo da cui trarre ispirazione. LG

 

Bibliografia

Arecco, S. (1972). Pier Paolo Pasolini. Roma: Partisan.

Desogus, P. (2016). Lo scandalo della coscienza. Pasolini, Gramsci e il pensiero anti-dialettico. In Pasolini, Foucault e il politico, a cura di Kirchmayr R. e Felice A. Venezia: Marsilio.

Pasolini, P. P. (1968). Vi odio cari studenti. L’Espresso, n. 24, 16.06.68.

Pasolini, P. P. Tutte le poesie. Mondadori: Milano, 2003