Conferenza SIAB: Roma, Via Magna Grecia 128, 26 Settembre 2022, ore 19.30.

La conferenza si svolge in presenza.

Relatore: Flavia Luisa Ricci, psicologa-psicoterapeuta, analista bioenergetico SIAB, CBT

 

La conferenza inizia con una breve spiegazione della dottoressa Ricci sulla nascita dell’analisi bioenergetica. Nel corso degli anni venti del secolo scorso, Wilhelm Reich notò che durante l’eloquio dei pazienti quando questi ultimi parlavano di aspetti emotivi si bloccava il respiro, da li cominciò che a capire che forse oltre a a lavorare sul racconto era necessario introdurre elementi corporei.

Reich studiò in seguito una serie di posizioni particolari per far aprire il diaframma e spesso notò che quando venivano messi in atto questi esercizi di respirazione i pazienti scoppiavano nel pianto, scoppiavano emozioni di rabbia, in quanto il respiro è l’aspetto principale con il quale controlliamo le emozioni, cominciò così pian piano la costruzione della psicoterapia corporea.

Alexander Lowen, paziente e allievo di Wilhelm Reich, si discostò dall’idea del suo maestro, in quanto Reich, facendo sdraiare i suoi pazienti durante le sedute, seguiva un’impronta prevalentemente analitica.

Secondo Lowen la posizione sdraiata è una posizione che favorisce delle esperienze regressive, in quanto riportava ad un discorso di un’analisi troppo strutturata sul passato, poco sul presente e sul futuro.

 

Alcuni autori psichiatri hanno studiato le dimensioni temporali delle patologie, e hanno notato che nella dimensione temporale ci sono delle problematiche temporali che sono sussistenti in alcuni tipi di patologie.

Nelle patologie più legate ai disturbi dell’umore, come i disturbi depressivi troviamo un attaccamento ad un pensiero legato al passato, creando il rischio di rimanere attaccati ad una dimensione che non c’è un più che è un po’ la questione dell’invecchiamento, dove non c’è più una progettazione ma c’è semplicemente un ritornare al passato. Rita Levi Montalcini, con la sperimentazione sui topi, ha osservato che i topi invecchiavano quando mancavano stimoli nuovi, quindi secondo lei l’invecchiamento di successo nasce quando nella vita ci poniamo nuovi obbiettivi.

Tornando al concetto della patologia della depressione, la relatrice spiega come questo sia legato ad un attaccamento al passato che porta dei vissuti spesso malinconici, che riportano poi a un assetto legato alla tristezza, emozione primaria che non consente di contattare la vitalità di quello che si è nella propria totalità.

L’assetto della dimensione temporale delle persone che soffrono di disturbi d’ansia, è strutturato prevalentemente sul futuro, impedendo di pensare al loro passato e al loro presente.

Secondo Alexander Lowen, la dimensione di maggior aiuto è quella di possedere un valido grounding, ovvero sapere chi e cosa si è in questo momento, cosa si può fare ora con le energie e con la forza che si possiede nel momento presente.

 

In seguito a questa breve spiegazione la Dottoressa Ricci entra nel merito della tematica della vergogna. Che cos’è la vergogna? La vergogna, in inglese shame, vuol dire “nascondere”.

Ognuno di noi possiede quelle parti fragili del proprio sé che se vengono colte dallo sguardo di qualcuno, proviamo vergogna, proprio per questo motivo proviamo a nasconderle. Possiamo intendere questo sguardo come uno sguardo esterno, ma anche come uno sguardo interno, che siamo stati costretti a costruirci fin da piccoli perché forse siamo stati guardati dai nostri genitori in un certo modo, o forse perché qualcuno non ci ha mai guardato, sentiamo cosi il bisogno di credere di essere qualcosa di speciale. La vergogna di esistere, conosciuta anche come “vergogna bianca”, costruisce un’immagine grandiosa del sé, ma non possedendo un fondamento reale, corporeo o di relazione, è un’immagine che alla fine si sgretola; la “vergogna rossa” a differenza della vergogna bianca la riconosciamo dall’esplosione del rossore in faccia.

La vergogna è la prima emozione sociale che sperimenta il bambino dal secondo anno di vita quando percepisce la madre come un oggetto separato da sé. L‘emozione della vergogna nel bambino ha una funzione di riadattamento della forza interna. Quando la madre parla al proprio figlio in modo amorevole e pacato, quest’onnipotenza si accresce in lui, ma se la madre inizia a guardarlo con uno sguardo “minaccioso”, va a bloccare tutta quella forza ed attivazione simpatica del corpo che lo immobilizza, facendo così nascere in lui la vergogna, il rossore, e il tentativo di riorganizzare un‘energia che altrimenti sarebbe troppo esplosiva. Ogni volta che il bambino sperimenta un fallimento, cresce in lui la frustrazione, da cui nasce il pensiero e la successiva divisione arcaica tra il buono ed il cattivo, il bene ed il male, ecc. Di per sé perciò la frustrazione non è un qualcosa di negativo, fondamentale è quindi il ruolo svolto dal genitore nel riuscire a dare continuità ed equilibrio tra incoraggiamento, sostegno e frustrazione.

Possiamo dire che la vergogna abbia degli scenari poliedrici, dalla vergogna di esistere alla vergogna di non sentirsi abbastanza bravi in qualcosa, scenari che in qualche modo posseggono la caratteristica comune di essere legati ad una questione di autostima. Il senso di autostima deriva principalmente dalle relazioni che ogni persona interiorizza e rielabora, se non siamo stati riconosciuti per ciò che siamo nel tempo andiamo a ricercare il riconoscimento esterno per cercare di costruire una propria autostima. Costruire una propria e solida autostima vuol dire costruire un proprio grounding, che ci permetta di accettare la presenza dei propri limiti.

 

In seguito alla tematica centrale della conferenza, la relatrice propone una parte esperienziale conclusiva, invitando i partecipanti a stare in cerchio scambiandosi degli sguardi e osservando come anche un semplice scambio di sguardi possa far emergere un leggero senso di vergogna in ognuno di noi. Questa parte esperienziale inizia con dei movimenti spontanei come lo sgranchirsi, lo stiracchiarsi, il far uscire sbadigli.

Infine i partecipanti si sono messi nella posizione principale di grounding per ascoltare le sensazioni interne ad occhi chiusi. Poi si sono nuovamente guardati, per prendere coscienza del luogo e delle persone presenti, e a scelta hanno poi espresso come si sentivamo in quel preciso istante, concludendo in questo modo la conferenza.

 

Esprimendo un mio pensiero posso dire che la tematica della vergogna è stata molto interessante, grazie all’analisi riguardo questo concetto ho capito che ci sono aspetti davvero profondi e non scontati che la riguardano e che vanno a toccare nel profondo ogni singolo individuo.

Mi viene così da proporre una citazione per me molto bella di Gilbert J. Arenas: “Quando nessuno crede in te, sei tu che devi credere in te stesso”, un piccolo suggerimento che ci faccia ricordare quanto sia fondamentale la costruzione di un proprio e solido grounding.

  Giulia Bellagamba
tirocinante SIAB