Roma, 10 maggio 2022

“Il saggio legge con estrema acutezza nel tuo sguardo, nel tuo portamento e nel tuo contegno tutta la tua storia personale. L’intera economia della natura inclina all’espressione. Il corpo parla e rivela. Gli uomini sono come orologi svizzeri con un quadrante trasparente che ne lascia vedere il movimento.” Con queste parole di Ralph Waldo Emerson Lowen introduce il suo libro La spiritualità del corpo (1990). Non si tratta di un dettaglio di poco conto, ma di uno di quei dettagli che rivelano molto, in questo caso, un orizzonte di riferimento, niente di meno che lo sfondo dell’identità americana, ovvero di quella parte dell’identità americana a cui gli USA fanno ciclicamente ritorno per ridefinire se stessi e fare il punto di dove sono. Succede ciclicamente a tutti i popoli e a tutte le culture, specie nei periodi di crisi e di transizione. Ed è così che negli ultimi anni, a cavallo del passaggio del secolo e del millennio, alcuni intellettuali americani, tra i quali spiccano il filosofo Stanley Cavell (1926-2018), recentemente scomparso, appassionato di cinema e di jazz, musicista egli stesso, e il filosofo Cornell West, musicista anch’esso e attore, noto soprattutto per essere apparso in “Matrix Reloaded” (2003) e in “Matrix Revolutions” (2003), abbiano fornito una rilettura della figura e del ruolo di Emerson, il padre dell’identità culturale americana. In particolare, West ha scritto che “Emerson non solo prefigura i temi dominanti del pragmatismo americano, ma (…) mette in atto uno stile intellettuale di critica della cultura che autorizza e incoraggia i pragmatisti americani a deviare dalla corrente principale della filosofia europea. Al pari di Nietzsche – e da quest’ultimo profondamente adorato – Emerson è una figura unica e singolare nel panorama intellettuale nordatlantico, tale da sfidare la classificazione disciplinare.” (1997, p. 11). Si può dire, secondo West, che Emerson sia la fonte delle strategie retoriche mirate a spiegare l’America a se stessa.

Il 27 aprile sono stati 140 anni dalla scomparsa di Ralph Waldo Emerson (1803-1882) ed io, vestendo i panni del professor John Keating, protagonista del film “L’attimo fuggente” (regista Peter Weir, 1989), mi prendo l’onore di presentarvelo poiché si tratta di una figura centrale nella messa a fuoco dell’approccio vitalistico proprio dell’analisi bioenergetica loweniana. Tra l’altro, il film è ambientato, negli USA, nel 1959, a pochi anni dalla fondazione dell’analisi bioenergetica e dell’Istituto Internazionale di Analisi Bioenergetica (IIBA), nel 1956. Ma il collegamento ancora più importante è rappresentato dal comune retroterra culturale vitalistico al cui centro, come preannunciavo, sta la figura di Emerson, dal cui spirito è animato il professor Keating. Sono arrivata alle riflessioni che ora desidero condividere con voi, attraverso la rilettura in lingua originale dei libri di Lowen e a un approfondimento del suo background nell’ambito del progetto che ho chiamato “Reading Lowen” e che è iniziato ormai diversi anni fa. Mi è accaduto, infatti, che un giorno mi sono chiesta da dove Lowen avesse tratto ispirazione per quel suo modo affascinante proprio in quanto vitale di comunicare, oltre al fatto che evidentemente i concetti di vitalità, di vita e di energia vitale costituiscono l’intelaiatura della sua trama cognitiva. Grazie alle mie ricerche sul movimento di riscoperta del corpo, definito dallo storico della cultura George Mosse (1918-1999), in particolare nel suo saggio, Sessualità e nazionalismo (1982), avevo precedentemente potuto cogliere il carattere vitalistico di tale movimento e il ruolo di Friedrich W. Nietzsche (1844-1900) come ispiratore, ma la scoperta più eccitante fu il rapporto, appena venuto alla luce, tra Nietzsche e Emerson. Infatti, per molti anni, sia in Germania che negli USA, era stato sottaciuto il fatto che Nietzsche, diciassettenne, fosse stato colpito dalla traduzione di una raccolta di saggi dell’Amerikaner, che gli sarebbe poi rimasto caro per tutta la vita e lo avrebbe profondamente influenzato. “Legando inestricabilmente saggezza, salute e gioia, Emerson fornisce a Nietzsche stimoli fecondi per condurre la critica alla morale su basi fisiologiche.”, scrive Benedetta Zavatta, una nostra giovane studiosa nel suo saggio La sfida del carattere, Nietzsche lettore di Emerson (2006, p. 95). Zavatta sottolinea, in particolare, “quanto furono fecondi per Nietzsche il dinamismo vitale e il sentimento di fiduciosa apertura verso il nuovo che si respirano nei saggi dell’americano” (Ivi, p. 30).

Per capire meglio, leggiamo, dunque, un passo di Emerson, dalle Considerazioni estemporanee, assai caro a Nietzsche: “Il più grande privilegio della salute è uno stato d’animo lieto che, nelle opere del talento, è più importante del talento stesso. Per le pesche nulla può compensare la mancanza di sole, e per sfruttare la conoscenza si deve possedere l’allegria della saggezza (…) La gioia dello spirito indica la sua forza. Tutte le cose sane sono liete. Il genio crea con gioia e la divinità gli sorride di rimando” (Zavatta, p. 94).  Il capitolo “Dei dispregiatori del corpo”, in Così parlò Zarathusra di Nietzsche è particolarmente illuminante per cogliere l’atmosfera vitalistica ispiratagli da Emerson. Leggiamo qualche riga: “…il risvegliato e il sapiente dice: corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro…”; “Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza.” (p.33)

Come dicevo, Emerson fu figura di riferimento per i primi esponenti dell’identità culturale americana, i quali orbitarono attorno a lui nella prima metà dell’Ottocento, andando spesso a trovare “il saggio di Concord”, nel Massachusetts. Le parole di alcuni di loro sono ricordate nel film di Weir, pronunciate sia dal professore, come i versi di Walt Whitman, “O capitano, mio capitano!”, che dai ragazzi riuniti nella confraternita denominata “Dead poets society” (titolo originale della pellicola) nei loro incontri notturni nella grotta, come, per esempio, la frase di Henry David Thoreau, relativa al “succhiare il midollo della vita”. Perché l’approccio vitalistico è animato dal desiderio di vivere pienamente la dimensione della corporeità con tutta la sua valenza mitica ed estatica. Thoreau è diventato famoso anche come ispiratore dei movimenti ecologisti. Infatti, il movimento di riscoperta del corpo sorse, nella seconda metà dell’Ottocento, proprio come reazione all’industrializzazione, all’urbanizzazione brutale, allo sradicamento dalla terra, all’esaltazione della ragione strumentale, e si declinò in vari ambiti: nei laboratori di movimento espressivo; nell’arte con la danza moderna, il teatro e il canto moderni; nella dimensione socio-politica, in particolare con la ricerca dell’identità tedesca oltre che in quella americana; nello sport e nella pedagogia; nella cura con le pratiche corporee curative manuali e motorie; nell’architettura urbanistica con le città-giardino; nelle esperienze di vita comunitaria, in particolare, di artisti; nel naturismo e nel vegetarianesimo. Wilhelm Reich (1897-1957), l’iniziatore della psicoterapia corporea, visse immerso in quest’atmosfera e, in particolare, abitò per diversi anni a Berlino, dove fiorivano i laboratori di movimento espressivo, e fu compagno di una danzatrice, allieva di Rudolf Laban (1879-1958), Elsa Lindenberg, prima di trasferirsi negli USA. Nell’ambito della storia della psicoterapia corporea si dà ormai per scontato questa matrice dell’approccio reichiano e neoreichiano.

Ritengo, infine, importante ricordare che Emerson ha ispirato William James (1842-1910), il padre della psicologia americana, essendo amico personale del padre di James, e John Dewey (1859-1952), filosofo esponente di spicco della corrente denominata “pragmatismo” a cui abbiamo già fatto riferimento, corrente filosofica tipicamente americana, nonché psicologo e pedagogista, impegnato nel fondere pedagogia e democrazia. Rispetto a quest’ultimo argomento, la democrazia, non si può non ricordare che Emerson fu anche l’ispiratore di quella riflessione di grande rilievo che viene denominata “individualismo democratico”, tema a cui un’altra nostra studiosa, Nadia Urbinati, ha dedicato un saggio che ha riscosso notevole interesse, dal titolo appunto di Individualismo democratico. Emerson, Dewey e la cultura politica americana (1997). Per concludere questa breve ricognizione sul vitalismo di oltre atlantico, non vedo modo migliore che ricordare l’entusiasmo profuso dal collega canadese Bennett Shapiro, recentemente scomparso, per diffondere e sviluppare l’esperienza bioenergetica della forza vitale che lui amava definire, sulle orme di Lowen, come ciò che ci fa sentire vivi/e e ci rende creativi/e, originando dalla parte più profonda di noi stessi/e.

 

Bibliografia

Geloso, L. (2017). Bioenergetica e teatro: riscoperta del corpo e creatività. Grounding, 2: 25-41.

Lowen, A. (1990). La spiritualità del corpo. Roma: Astrolabio, 1991.

Mosse, G. (1982). Sessualità e nazionalismo. Roma-Bari: Laterza, 2011.

Nietzsche, F. (1968). Così parlò Zarathusra. Milano: Adelphi, 2000.

Urbinati, N. (1997). Individualismo democratico. Emerson, Dewey e la cultura politica americana. Roma: Donzelli, 2009.

West, C. (1989). La filosofia americana. Una genealogia del pragmatismo. Roma: Editori Riuniti, 2016.

Zavatta, B. (2006). La sfida del carattere. Nietzsche lettore di Emerson. Roma: Editori Riuniti.