Negli ultimi decenni della sua vita, fino quasi ai novant’anni, Luisa Parmeggiani ha sviluppato una sorprendente e feconda attività di scrittura. È vero che tutti questi scritti sono accomunati da un approccio fortemente personale, ma possiamo chiaramente distinguere tra un gruppo di opere con un taglio più teorico, in cui la sua attività da psicoterapeuta bioenergetica è centrale, e un gruppo di opere di taglio autobiografico che narra un mondo più strettamente personale.

Al primo gruppo, di intelaiatura teorico-professionale, appartengono Analisi bioenergetica. In compagnia della Gradiva del 2007, Il gruppo in Analisi bioenergetica del 2009, e l’Introduzione al Counselling a mediazione corporea del 2011. Al secondo tipo di scrittura invece, di taglio autobiografico, appartengono le tre opere Donna di terra Donna di luna del 2000, C’erano un cortile e una stalla… del 2015 nonché Un pezzo di vita allo specchio, pubblicato nel 2016.

Questi scritti autobiografici di cui parliamo di seguito in un certo senso si presentano come parti di un unico grande romanzo di formazione, un romanzo di formazione a ritroso e in tre volumi diversi. Diciamo “a ritroso”, perché in verità il primo testo, pubblicato nel 2000, Donna di terra Donna di luna, narra la vita della scrittrice da donna matura, a Roma, mentre solo in un secondo tempo e in età già avanzata, Luisa Parmeggiani si inoltra nei ricordi della prima infanzia a Castelfranco in Emilia Romagna, con il racconto C’era una volta un cortile e una stalla… al quale seguirà poi il racconto Un pezzo di vita allo specchio che elabora i ricordi della fase seguente, il tormentato periodo della prima adolescenza.

Ma perché, ci si potrebbe chiedere, questo ritorno al passato, questo sforzo enorme del ricordare e del frugare nei rivoli della memoria, col pericolo sempre presente di una ricostruzione precaria e plasmata soggettivamente?

Più volte l’autrice si sofferma su questo argomento, e se un libro dedicato alla filosofia antica porta il bel titolo Ricordati di vivere (Hadot, 2008), il motto della narrazione di Luisa potrebbe suonare “Ricordati di avere vissuto”. Infatti, l’autrice afferma in riferimento alle Confessioni di Sant’Agostino: “La memoria è la nostra salvezza in quanto non ci fa dimenticare di avere vissuto, né ci fa cancellare i ricordi che, se lo vogliamo, ci conducono a conoscere più intimamente noi stessi” (AB, 22).

Colpisce perciò una frase di Luisa, quasi in forma di aforisma: “E mi sono detto che dimenticare sarebbe come dimenticarsi” (AB, 26).

Ricordare e raccontare dunque ci salva dall’oblio, restituendoci i vissuti di un passato personale lontano:  “Non è la cronologia dei fatti che sto cercando di riportare alla memoria, ma le emozioni che ho vissuto” (S, 78). “Ricordare, per me, è sentire di aver sentito” (AB, 22). Allo stesso tempo, questa “archeologia delle emozioni”, come si potrebbe chiamare l’impresa di Luisa, comporta anche una forma di riconciliazione con le vicende della propria vita.

In questo senso, il racconto della prima infanzia inizia con la frase significativa: “C’è un momento in cui è come se, ad un tratto, si volesse restituire a passato la sua poesia, come se la vita […] si ridisegnasse con quell’odore del quotidiano che sapeva di autenticità” (C, 5).

In nessun caso, però, ciò vuol dire che troviamo qui un remake edulcorato o autocompiaciuto del passato. Anzi, lo stile narrativo di Luisa è molto sobrio, quasi prosastico, lontano da ogni enfasi e idealizzazione. In più, questi testi autobiografici sono colmi di eventi storici che vengono riportati, di osservazioni sociologiche, di descrizioni concrete della vita di allora.

Eppure, il lavoro della memoria ha questo effetto di una ricostruzione, di una restituzione dei fatti e dei vissuti della nostra vita. Ci restituisce il tesoro più prezioso di cui disponiamo, il senso della nostra identità personale e collettiva. A ragione perciò Luisa annota che “il passato diventa una risorsa, una forma di cura che sto facendo alla mia vita” (C, 6), ovvero generalizzando e in forma apodittica: “Il passato ci cura” (S, 27).

Passiamo ora brevemente al contenuto dei tre romanzi. C’erano un cortile e una stalla… del 2015 è dedicato maggiormente all’infanzia dell’autrice. Nel sottotitolo del libro, Racconto di una bambina di campagna, si esprime un elemento tipico del romanzo di formazione, ovvero il riferimento allo spazio come luogo dell’identità. E, infatti, la vita rurale di un podere emiliano degli anni venti e trenta del secolo scorso, con le case dei contadini, i campi, i giardini e i boschi che li circondano, appare come piacevole scenario, come “base sicura” della vita di una bambina felice: “Le mie radici sono lì, radici forti e semplici com’era la gente che si aggirava nei campi” (C, 76 seg.).

Con grande precisione, l’autrice evoca alcuni personaggi di questo mondo rurale, in particolare la figura della “Nonna”. La Nonna è una specie di contadina matriarca, madre di 11 figli e vedova,  che le sere dell’inverno racconta, nello spazio caldo e carico della stalla, storie della vita di campagna.

Forse, viene da chiedersi, l’enorme piacere di raccontare di Luisa Parmeggiani potrebbe avere le sue origini in queste esperienze affascinanti della bambina, in cui il racconto orale apriva ancora le porte all’immaginazione: “Ogni volta che potevo includermi in quello spazio carico, per me, di suggestione mi pareva che il mondo fosse tutto lì, tra quelle pareti” (C, 45).

Luisa descrive con cura anche la sua famiglia d’origine, il padre principe azzurro tanto amato che un giorno avrebbe sposato, la “grande” mamma, chiara e dignitosa, la sorella Maddalena e il fratello Nicola. La definisce “una famiglia perbene”, in cui “si era formata una specie di tacita intesa perché io ero del babbo, mia sorella della mamma e il mio fratellino da tutti e due loro” (S, 21).

Naturalmente nella vita di questa bambina non mancano delle esperienze dolorose, come per esempio la grande delusione quando scopre “un certo 5 gennaio”, attraverso la cameriera, che i colpi sul pavimento di sopra non provengono dall’arrivo della Befana, ma vengono dal padre: “Un pianto disperato mi squassò il petto; qualcosa si era rotto, qualcosa che non si poteva ricomporre e che non sarebbe mai più come prima. L’abbraccio di mio padre che mi consolava era diventato soltanto un abbraccio” (C, 19).

Ma nonostante tali ombre occasionali, questo Racconto di una bambina di campagna ci ritrae lo spettacolo di un’infanzia serena, colma, ricca e felice. Luisa la riassume con le seguenti parole: “Gli anni dell’infanzia sono stati certamente per me, gli anni dell’immaginazione e della freschezza, quella che non ho trovato anni dopo quando la mia mente ha incominciato ad essere turbata da quegli interrogativi a cui l’animo divenuto inquieto non dava risposte che lo distendessero”.

Questi anni dell’”animo divenuto inquieto” sono il tema del romanzo Un pezzo di vita allo specchio del 2016. Nella prima parte, L’anima segreta di un’adolescente, appare un personaggio completamente diverso dalla bambina serena delle Elementari:

“Mi riferisco al tempo della mia adolescenza, quello in cui tutto era tanto variabile da costituire insicurezze, paure, più che piacere e, anche il corpo, nelle sue forme, non era più accettato per quello che era perché non mi piaceva, lo vedo sgraziato, privo di armonia, tanto che non lo riconoscevo più, e tutto quello che nell’infanzia aveva rappresentato i sogni da stringere tra le mani, nell’adolescenza, si era trasformato in inquietudine, angoscia, tempo vuoto, privo di desideri realizzabili” (S, 7).

Il compagno quotidiano e nemico spietato di questi “anni di indefinizione” è lo specchio. È veramente interessante seguire, attraverso i dettagli di una testimonianza personale, i grandi tormenti che lacerano l’identità dell’adolescente, in primis l’esposizione al suo giovane corpo, “il grande protagonista in via di trasformazione” (S, 108). Ciò comporta in Luisa da un lato un perenne senso di vergogna, di distacco dagli altri, di solitudine e di sofferenza, dall’altro lato e verso l’esterno, la ragazza appare “scontrosa, antipatica, superbiosa” (S, 55).

È senz’altro il conflitto tra il ruolo della “brava ragazzina”, della “ragazza per bene”, e ciò che si sentiva interiormente e che avrebbe voluto dire, a segnare questo periodo della prima adolescenza, gli anni della Scuola Media.

La creatività della fantasia adolescenziale, nutrita dalla lettura di poesie e di romanzi, concede una qualche via d’uscita da questi tormenti. Così come, a sorpresa, anche la vita concreta nelle condizioni di guerra, tra il 1940 e il 1945. Nella seconda parte del libro, La realtà della storia, l’autrice descrive un vita priva ormai di ogni normalità, con gli sfollati nel podere e i soldati tedeschi in casa, in un paese esposto ai bombardamenti degli alleati.

Ma, stranamente, l’emergenza estrema della vita collettiva attutisce, relativizza i dolori della psiche dell’adolescente, in modo che, alla fine, anche lo specchio cambia significato: “Quello che stavo verificando era che lo specchio era sempre meno presente, […] perché anche l’anima si era messa a tacere in quel suo guardarmi dentro per sapere, chi ero, e chi non ero, come se quel mio voler vedere tutto quello […] che non mi piaceva non mi fosse più permesso” (S. 75).

In un’altra atmosfera ancora, del tutto diversa, entriamo con il romanzo Donna di terra Donna di luna del 2000. Qui è la donna adulta che parla, l’autrice intorno ai 50, 60 anni e già da tempo, come accidentalmente trapela, psicoterapeuta dopo una formazione in Analisi bioenergetica. Centrale nel romanzo è il tema dell’amicizia tra donne, concretamente: il rapporto tra quattro amiche che “un sabato di prima estate” si incontrano in un agriturismo in Umbria per passare il fine settimana insieme. “Eravamo quattro donne che nonostante i loro diversi percorsi e la loro diversa età si facevano ancora domande sulla loro identità, una, doppia, o forse multiforme?” (D, 55).

Questa “identità aperta” del femminile, come si potrebbe chiamarla, appare comunque segnata dalle forze elementari della Natura, dai “poteri istintuali del femminile”, poteri che sarebbero da “dissotterare dal discredito” (D, 55) in cui sono caduti nel corso della storia umana. Simbolo vivente di queste forze è da sempre la Luna. Possiamo perciò leggere di questo incontro tra le amiche che si protrae fino a tardi, in una notte luminosa: “Il femminile della Luna come Magna Mater nelle sue origini arcaiche di una-in-se-stessa, grande e potente, fu con noi” (D, 59).

Il titolo del romanzo, Donna di terra Donna di luna, si riferisce all’arcaica polarità tra queste forze, ben nota tra l’altro dalla filosofia orientale. Si riferisce inoltre alla polarità caratteriale tra l’autrice e la sua amica intima Giulia, compagna di formazione e anch’essa presente all’incontro in Umbria. All’interno di questa polarità, è Giulia che appare come “figlia della Luna e del mare” (D, 101). E più avanti, Giulia risponderà all’amica: “Tu sei di terra” (D, 109). Sono parole che ci riportano all’infanzia dell’autrice, alla campagna come luogo dell’identità.

Il nostro cerchio si chiude qui. Abbiamo seguito la scrittura autobiografica di Luisa Parmeggiani, il suo grande romanzo di formazione, nelle tre tappe dell’infanzia, dell’adolescenza  e della donna adulta. Con questo suo lavoro di narrazione, Luisa ci dà un prezioso insegnamento: dobbiamo fare attenzione alla nostra storia personale e collettiva, dobbiamo valorizzarla e salvarla dall’oblio.

Perché ricordare, paradossalmente e fortunatamente, è molto di più che occuparsi del passato. Solo narrando la nostra storia possiamo farne tesoro, possiamo tramandarla e creare un nesso fecondo col presente e col futuro: “Il passato ci cura”.

Christoph Helferich

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Libri di Luisa Parmeggiani

Donna di terra Donna di luna, Serarcangeli Editore: Roma 2000. (Sigla D)

Analisi bioenergetica. In compagnia della Gradiva. Armando Editore: Roma 2007. (Sigla AB)

Il gruppo in Analisi bioenergetica. Armando Editore: Roma 2009.

Introduzione al Counselling a mediazione corporea. Franco Angeli: Milano 2011.

C’erano un cortile e una stalla… Racconto di una bambina di campagna. Sovera Edizioni: Roma 2015. (Sigla C)

Un pezzo di vita allo specchio. Sovera Edizioni: Roma 2016. (Sigla S)

 

***

 

Hadot, Pierre (2008), Ricordati di vivere. Goethe e la tradizione degli esercizi spirituali. Trad. it. di Anna Chiara Peduzzi, Raffaello Cortina: Milano 2009.