Anche per noi “bioenergetici”, che abbiamo appreso da Alexander Lowen come il corpo non sia estraneo alla nostra anima e psiche, ma ne sia espressione e voce narrante, in tempi di quarantena l’immobilità forzata, diventa occasione di riflessione e di recupero di una attenzione che aveva – forse – lasciato il posto ad un automatismo.

Occasione per ricordarci il significato di quell’ “onorare il corpo”, che nulla ha a che vedere con il narcisismo crescente che ha messo il corpo-oggetto in primo piano, ma la tensione a voler guarire quella separazione tra corpo e mente indotta dai modelli culturali occidentali. Occasione per rammentare, nell’assenza forzata, l’importanza dell’incontro con il corpo dell’altro, che non è solo incontro fisico.

Occasione per riscoprire, nella obbligata intimità, che non è corpo liquido, ma corpo di sangue, carne e ossa. Nella società liquida, liquido è divenuto anche il nostro corpo, stereotipato, omologato, costretto in modelli che lo obbligano a divenire impersonale, mero numero sociale che si scopre alienato in situazioni di confinamento e di immobilismo emergenziale. Impegnati in questi giorni a misurare la distanza dai corpi altrui, ad evitarne il contatto, finanche l’odore, ce ne scopriamo bramosi, percepiamo che nel vuoto fisico c’è un vuoto emotivo e che dell’altro, seppur estraneo, abbiamo bisogno.

Prendiamoci allora questo tempo sospeso, in cui ci è precluso l’incontro con l’altro, come occasione per incontrare e ri-trovare il nostro corpo, non più come agglomerato e maschera sociale, ma riscoprendo in ogni sua parte, in ogni organo, quella bellezza, unicità e vibrazione che è espressione del nostre sentire, delle nostre emozioni, della nostra vitalità.

 

“O mio corpo! Non oso abbandonare i tuoi simili in altri uomini e donne, né le somiglianze delle tue parti,

Credo che i tuoi simili debbano adergersi o cadere con le somiglianze dell’anima (e che esse sono l’anima)

Credo che quelli come te debbano adergersi o cadere con le mie poesie, e che essi sono le mie poesie,

Poesie dell’uomo, della donna, del bimbo, del giovane, della moglie, del marito, della madre, del padre, del giovanotto, della ragazza,

Capo, collo, capelli, orecchi, lobo e timpano degli orecchi,

Occhi, ciglia, iride, sopracciglia, palpebre deste o dormienti,

Bocca, lingua, labbra, denti, palato, mascelle, articolazioni delle mascelle …

Robusto paio di cosce, che bene sopportano il sovrapposto tronco,

Nervi delle gambe, ginocchio, rotula, femore, tibia …

Le spugne del polmone, il sacco dello stomaco, le nette e pure budella,

Il cervello con le sue circonvoluzioni entro la scatola cranica …

La voce, l’enunciazione, il linguaggio, sussurri, alte grida,

Cibo, bevanda, polso, digestione, sudore, suoni, passeggiate, il nuoto,

L’equilibrio sui fianchi, balzare, reclinare, abbracciare, curvar le braccia, stringersi,

I mutamenti continui delle pieghe della bocca e attorno agli occhi,

La pelle, l’abbronzatura, le efelidi, i peli,

La curiosa simpatia che si prova quando con la mano si tasta la nuda carne del corpo

Le sottili gelatine rosse dentro te, dentro me, le ossa e il midollo nelle ossa,

Lo squisito senso di benessere,

Oh, io dichiaro che queste non sono soltanto le parti e le poesie del corpo, ma anche dell’anima,

Oh, vi assicuro, tutto questo è l’anima! “

 

Whitman, W., Canto il corpo elettrico, in Foglie d’erba, Torino, Einaudi, 1973