Abbiamo intenzione di presentare sul nostro blog, con cadenza all’incirca mensile, un articolo di approfondimento sull’analisi bioenergetica nei vari contesti in cui oggi si manifesta. Non a caso vogliamo iniziare questa serie di saggi con un contributo di Gabriella Buti Zaccagnini († 2008), socia fondatrice della SIAB nel 1978, di cui è stata Presidente per molti anni.

 

Gabriella Buti Zaccagnini

Gabriella Buti Zaccagnini

 

“Il corpo come identità: il vero scopo della terapia bioenergetica”, infatti, è un testo particolarmente denso e ricco, in cui si riconosce chiaramente il ruolo centrale del respiro come espressione della realtà del paziente e come veicolo del contatto diretto con le sue parti profonde. In conclusione del lavoro, l’Autrice presenta due brevi casi clinici, evidenziandovi la centralità del respriro nel processo di individuazione del paziente.

                                                                                                   a cura di Christoph Helferich

 

Il corpo come identità: il vero scopo della terapia bioenergetica

Essere consapevoli di se stessi è il capolavoro che ciascuno è chiamato a compiere. Da sempre, il socratico conosci te stesso era ed è il nodo attorno al quale gira la vita.

Conoscere se stessi significa realizzare un processo di individuazione che determina l’identità originale e unica di ogni essere umano.

L’identità di una persona è il risultato di un processo di trasformazione che avviene nell’individuo e che implica il passaggio da una fase simbiotica e confusa alla fase adulta. Nella prima fase, il confine che delimita il sé è ancora sconosciuto, e in un delirio di onnipotenza tutto sembra possibile; nella seconda fase, viene al contrario riconosciuto il limite che separa e individua. Il passaggio tra queste due fasi è il tema del nostro saggio, che svilupperemo con gli strumenti dell’analisi bioenergetica.

Il corpo ha una sua caratteristica particolare: è vivo, e la sua vitalità si esprime essenzialmente nel respiro. Di conseguenza, il respiro assume un ruolo centrale nell’approccio analitico-bioenergetico. È l’espressione della realtà del paziente, e nello stesso tempo è il veicolo del contatto diretto con le sue parti più profonde.

Il respiro riassume in sé il mondo emozionale del paziente, e rimanda l’eco di un processo interiore in evoluzione. Incrementando il respiro con delle tecniche appropriate, si evidenziano le caratteristiche di questo processo, e le variazioni espressive del paziente; esse palesano il quadro delle dinamiche interiori che il paziente vive in questo momento, il suo carattere, la sua struttura e le sue difese.

Questa prima fase del processo è inconscia: l’espressione disegnata sul viso del paziente che mostra la difesa immediata e automatica della sua struttura caratteriale non viene percepita da lui a un livello conscio, anche se l’aumento dell’energia può diventare un veicolo del contatto diretto con le sue parti più profonde, se l’esperienza di un respiro più ampio avviene nelle condizioni particolari che caratterizzano la relazione analitico-bioenergetica.

Respirare più profondamente aumenta l’energia a disposizione dell’organismo e permette una percezione diversa delle sensazioni corporee e delle emozioni che ne derivano. Il respiro risveglia le emozioni rimosse dalla difesa caratteriale.

All’improvviso, esse irrompono sembrando estranee, minacciando l’equilibrio garantito dalla difesa di una sopravvivenza minima, esponendo il paziente improvvisamente a livelli d’ansia che minacciano di disintegrare irreparabilmente l’intero sistema. Il paziente si trova a un bivio: bloccare nuovamente la sua energia ripetendo i suoi vecchi meccanismi di difesa, oppure aprirsi a un’esperienza a lui sconosciuta, le cui tracce però si trovano già in lui.

Senza dubbio l’esperienza del respiro fa parte di ogni essere vivente, e attraverso una saggezza del corpo, che risale al suo primo grido quando nasce, il paziente sa quanto questa risorsa sia essenziale, quanto rappresenti l’unica certezza di sé. Esplorare nuovamente e fidarsi di un precedente antico sentiero di un respiro non più soffocato e trattenuto da un blocco caratteriale, è perciò l’elemento che introduce al processo di individuazione.

Grazie al processo transferale e controtransferale corporeo caratteristico dell’analisi bioenergetica, il paziente può utilizzare una capacità sensoriale e percettiva trasformata dall’aumento energetico. Le sensazioni, percezioni ed emozioni, prima sbiadite e deformate, gli rimandano dei messaggi sinora sconosciuti, e la consapevolezza di se stessi comincia a emergere, seppure non ancora completa. Qui inizia il processo trasformativo dell’individuazione, che avviene, all’interno della relazione terapeutica, seguendo l’onda del respiro.

Esso, infatti, compie una funzione biologica e allo stesso tempo dinamica. Dal punto di vista fisiologico, permette l’ossigenazione dell’organismo attraverso i due movimenti dell’inspirazione e dell’espirazione. Durante l’inspirazione, il processo energetico reso possibile dall’ossigenazione del sistema si esprime nelle due fasi di “tensione” e “carica”; durante l’espirazione, nei due momenti della “scarica” e del “lasciar andare”.

Il processo respiratorio coinvolge l’intero organismo sia a un livello metabolico che muscolare, permettendo così una comunicazione diretta e profonda con l’ambiente. Questo interscambio avviene a un livello intercellulare (scambio di ossigeno con anidride carbonica che avviene nei bronchi a livello cellulare), e anche a un livello inter-organico, attraverso l’apparato orale-faringale, con l’ossigeno dell’ambiente esterno. In più, l’alternanza ritmica tra espansione e contrazione dell’apparato muscolare, modificando l’assetto spaziale del corpo, influenza la percezione del pattern fisico e coinvolge la percezione e l’aspetto emozionale ad esso connesso.

L’aspetto dinamico delle variazioni percettive che risulta dal respiro introduce l’organismo all’esperienza della propria individuazione come persona. Infatti, nella fase dell’inspirazione che si esprime attraverso la tensione e la carica energetica, il paziente sperimenta un’espansione del proprio corpo fino a un punto che non può oltrepassare, e che lo porta alla relazione con l’altro (il terapeuta). Percepire questo limite sentito come limite biologico, gli rimanda sia un senso di sconforto per questo confine che lo separa dall’universo infinito e dalle sue molteplici possibilità, che un primo senso confuso del suo esserci. Il transfert instaurato a un livello corporeo favorisce in questa fase la percezione di emozioni reattive che egli proietta sul terapeuta, vedendolo come ostacolo a un’ulteriore espansione dei limiti del suo corpo e della sua onnipotenza appena rimandatagli dal suo respiro.

La fase dell’espirazione che segue, con la contrazione dell’organismo (“scarica” e “cedimento”), lo porta all’esplorazione del “territorio” appena posseduto, che grazie all’esperienza dell’inspirazione ha potuto conoscere e delineare. Avendo riconosciuto questo territorio come il suo, la fase dell’espirazione lo porta, attraverso l’emergere di un transfert corporeo di tipo depressivo, ad una prima elaborazione di un senso di se stesso che comincia a tracciare i contorni della sua individuazione. Il transfert corporeo depressivo, infatti, gli permette di abbandonarsi alle sue sensazioni corporee, e di riconoscerne il valore per la sua identità, in quanto esse, grazie alla relazione terapeutica, sono circoscritte e limitate.

Il passaggio dalla fase reattiva a quella depressiva, fondamento nel processo di individuazione, è reso possibile dalla presenza del controtransfert corporeo del terapeuta. Infatti, se il terapeuta riesce a sentire nel proprio corpo l’elemento creativo che ha realizzato la propria trasformazione, anche il paziente potrà riconoscere il proprio spazio emozionale e dinamico.

Il processo di individuazione, infatti, avviene attraverso il paragone tra un “dentro” e un “fuori”, di carattere spaziale, suggerito dall’espansione e dalla contrazione, e tra un “prima” e un “dopo”, di carattere temporale, tipico della loro alternanza continua. Inoltre, la frequenza ripetitiva del respiro, assumendo un ritmo a volte accelerato e altre rilassato, delinea il profilo, la qualità e il colore emozionale dell’area appena percepita.

In questa, gli eventuali blocchi caratteriali rappresentano la risposta originale all’ambiente da parte del paziente, il quale si difende da esso e ne riporta le tracce. Sono tracce crittografiche che solo la relazione terapeutica transferale e controtransferale è in grado di decifrare e liberare. Si tratta di un processo trasformativo che muove dalla rilevazione della percezione di sé, per condurre infine alla consapevolezza, all’espressione e al possesso di sé dell’individuo. Questo processo consiste nella raccolta e poi nella rispettiva integrazione di elementi (secondo il piano interiore, originale ed esclusivo del paziente) già presenti nella sua mappa percettiva, che il respiro, nella sua accezione transferale, ha appena circoscritto.

All’interno di questa mappa, l’individuo può delineare, trasformare ed esprimere le sue proprie caratteristiche. Questo è uno spazio che possiamo definire come “sacro”, essendo libero da qualsiasi legge di necessità nascosta, e che si manifesta come identità in quanto illuminato dalla scintilla della creatività. Il controtransfert corporeo permette al terapeuta di proteggere questo spazio “sacro”, essendo in grado, attraverso esso, di riconoscere nel paziente il valore unico dell’individuazione in corso. Il terapeuta assiste con un senso di rispetto e di sorpresa all’individuazione del paziente, quando il suo viso s’illumina, e l’espressione del suo respiro e del corpo intero riflette il suo modo particolare di essere persona e ritrovata identità.

Inizialmente, l’espressione del paziente manda segnali di sofferenza, che l’esperienza corporea del respiro può trasformare nel nucleo essenziale e originale della sua identità. La difesa caratteriale, infatti, è il punto di forza, il nucleo intorno al quale si organizza la trasformazione che distingue l’identità.

 

Due casi clinici

Nella nostra prima seduta, Carla, stesa sul cavalletto bioenergetico, ricorda un sogno: sta camminando lungo un corridoio, e in fondo a questo corridoio siede una vecchia con un viso come illuminato da una luce trasparente. Sempre stesa sul cavalletto, sente all’improvviso una forte sensazione e un brivido lungo il dorso: era la memoria corporea delle continue attenzioni particolari da parte di suo padre ogni volta che l’incontrava sul corridoio di casa, e alle quali lei non sapeva opporsi. Lo stress provocato dalla posizione dell’arco le aveva permesso di sentire tutta la sua rabbia, localizzata nel dorso e rimossa per tanto tempo, che era connessa al blocco pelvico che ne derivava.

Era la prima volta che percepiva la sua rabbia: la sua faccia mostrava l’espressione di incredulità e di paura. Come poteva lei, con uno sguardo così gentile e fragile, con una voce così dolce e moderata, urlare il suo odio? Finora conosceva solo le proprie lacrime, che erano sempre pronte a essere versate in silenzio. Queste lacrime rappresentavano l’unico modo per provare sollievo nel suo collo, dal quale nessun urlo di protesta poteva uscire contro suo padre e quella madre che nel sogno osservava in retroscena, ma che nella realtà era connivente con lui.

Ma non basta esprimere la rabbia verso queste figure genitoriali ambigue e manipolatorie: bisogna arrivare a una riorganizzazione complessiva del quadro emozionale e psico-corporeo, insieme a un progetto diverso di sé, i cui elementi essenziali si trovano sepolti nel carattere e “estratti” dal corpo del paziente.

La struttura orale era caratteristica di Carla: era fragile, quasi eterea, in modo tale da non sentire la sua rabbia, l’umiliazione e il desiderio. Durante l’espirazione (tipica della fase depressiva dell’individuazione), appariva sul suo volto proprio l’elemento sul quale poteva basarsi la riorganizzazione di se stessa e della sua individuazione: la sua sensibilità particolare connessa alla fragilità della sua struttura. Infatti, se si fosse limitata all’espressione della sua aggressività, avrebbe tradito la sua vera essenza, mostrandosi come aggressiva e determinata. Invece la sua fragilità, una volta riconosciuta come tale, rappresentava la vera chiave di una sua possibile trasformazione.

Carla respirava in una maniera modulata e arrendevole che la portava a un’auto-percezione dotata di sensibilità e rispetto verso le proprie emozioni. Poteva così trasformare tutto ciò nell’essenziale apertura verso le proprie emozioni, dando loro fiducia e riconoscendole come nucleo della sua identità.

 

Mauro aveva uno sguardo incerto, guardingo, sempre alla ricerca di approvazione, in un tentativo esasperante di controllare l’ambiente, elemento chiave di una condizione psicopatica dovuta alle profonde manipolazioni materne. La sua continua ricerca di donne con caratteristiche orali aveva portato a una serie di esperienze frustranti, tutte concluse dolorosamente. Dietro a questo sguardo, era palese il bisogno: essere in grado di confrontarsi, in maniera chiara e diretta, con l’autorità paterna, per affrontare il rischio di un confronto edipico, e per poter conquistare l’amore di sua madre in maniera aperta e duratura.

L’esperienza del cavalletto gli permette di percepire il rilassamento della zona pelvica, tanto da sentire la sua paura e impotenza. Finalmente poteva cedere al pianto, e i suoi singhiozzi aprivano ulteriormente il canale respiratorio fino al pavimento pelvico. Il suo petto gonfio dall’allenamento atletico (era molto bravo nel wrestling) aveva bloccato il suo respiro in una presa metallica che gli dava un’immagine falsa di sé (dell’uomo forte a cui tutto è dovuto). Ma questo petto rispondeva all’inspirazione e all’espirazione con un suono soffocato; non c’era la risonanza di vitalità, bensì solo l’eco vuota della chiusura.

Mi chiedevo quale potesse essere l’elemento trasformativo che l’avrebbe potuto condurre verso la sua individuazione. Ogni volta che respirava profondamente, i suoi occhi mostravano una consapevolezza di sé aumentata. C’era un’intensa felicità in questo sguardo che subito s’offuscava quando era ansioso di approvazione. Mi si strinse il cuore, il mio controtransfert corporeo mi disse che qui stava il nucleo, il passaggio trasformativo di una sua possibile individuazione.

Così andavamo più volte insieme sull’orlo di quell’abisso di paura che era per lui l’intravedere una sua possibile identità autonoma, fondata sulla consapevolezza di sé, che la sua espirazione cominciava a dargli. Più volte c’era un’espressione di panico nel suo viso, nonostante il suo corpo massiccio; esitava, mentre i suoi piedi forti sembravano come argilla, ed espandeva ancora di più le sue spalle e il petto. Mi chiedevo come tutta questa sua parte difensiva, strutturata nella sua massa muscolare bloccata, potesse essere l’elemento chiave della sua trasformazione. Sapevo, infatti, che non stava tradendo il proprio corpo per scoprire se stesso, ma, al contrario, che tale scoperta di ciò che è già presente nel corpo, poteva produrre la trasformazione. Così realizzavo che proprio questa struttura massiccia, sciogliendosi, diventava il nucleo della sua capacità di abbandonarsi all’energia calda e accogliente, e trasformava il suo sguardo ansioso e controllante in uno sguardo vivo e felice.

Questo petto cominciava a respirare e a rilassarsi, a diventare il punto centrale della sua identità. Un rilassamento che mostrava la sua vitalità in un’espressione calda e accogliente che non doveva più cercare l’approvazione per sopravvivere, ma finalmente poteva permettersi di essere quell’uomo vitale che, sotto la propria stessa difesa, per una vita aveva aspettato di essere.

Gabriella Buti Zaccagnini