Il mio interesse per la questione dell’empatia nasce, per così dire, dal suo opposto, dallo studio del carattere psicopatico. È un argomento complesso, “per molto tempo una sfida alla mia capacità di capire”, come confessa lo stesso Alexander Lowen, che nel corso degli anni ha fatto numerosi tentativi per definire i tratti salienti di questo carattere: dal Linguaggio del corpo (1958) a Bioenergetica (1975a) dove figura addirittura come uno dei cinque caratteri principali; dal grande saggio Comportamento psicopatico e personalità psicopatica dello stesso anno (1975b) al suo libro sul Narcisismo (1983), dove la psicopatia trova infine un collocamento definitivo come “forma grave di Narcisismo”.
Notiamo anzitutto che Lowen non indaga sulla psicopatia nella sua forma clinica grave, come disturbo antisociale di personalità, bensì nelle sue forme più lievi, come fenomeno “sub-clinico”, diffuso nella popolazione e perciò in variegate sfumature riguardante tutti noi. In questo senso è significativo il suo approccio alla psicopatia come “malattia emotiva” (1975b, p. 254), una malattia dovuta al distacco tra emotività e intelligenza: “A mancare, nella personalità psicopatica, sono emozioni e sentimenti” (ibid., p. 257). A livello corporeo, questa mancanza si esprime come rigidità, come scarsa risonanza empatica con l’altro; a livello culturale si manifesta come “perdita dei valori umani” in una società orientata al profitto e al potere.
Nella visione di Lowen, al contrario, sono i sentimenti a dare “senso e direzione alla vita”. Per comprendere bene la portata di questa affermazione, bisogna tener conto della stretta connessione tra corpo e sentimento nel pensiero di Lowen, per cui ogni sentimento o emozione parte dalla “percezione di un movimento interno al corpo”. Di conseguenza, la negazione di un’emozione o un sentimento (feelings) si attua soprattutto tagliando la loro connessione col corpo. Questo meccanismo di negazione, tipico per la personalità psicopatica e il narcisismo in generale, opera attraverso due modalità principali: la soppressione e la percezione selettiva. La soppressione inibisce il movimento, l’espressione e la motilità organismica, per esempio attraverso il controllo abituale del respiro. La percezione selettiva esclude automaticamente quella gamma della realtà che non è conforme alle proprie convinzioni o belief system. In questo modo, soppressione del movimento corporeo interiore e percezione selettiva costituiscono un potente meccanismo di difesa dalle emozioni, con gravi risultati: “È l’assenza di emozioni che rende lo psicopatico inumano; nella misura in cui vengono a mancare, c’è sempre, in chiunque, una corrispondente mancanza di umanità” (ibid., p. 257). Vedremo più avanti che in ultima analisi questa mancanza di umanità va intesa non letteralmente, ma come una mancanza di empatia nel senso pieno della parola.
Tra le ragioni eziologiche della malattia psicopatica Lowen si sofferma in particolare sulle esperienze edipiche nel processo di separazione-individuazione del bambino. Non di rado si tratta di un genitore seduttivo che utilizza il figlio contro il proprio partner, una costellazione in cui il bambino viene “adorato, usato e abusato”, come un piccolo Dio. Da questa adorazione del genitore seduttivo o di entrambi i genitori facilmente origina uno dei tratti distintivi del carattere psicopatico: la grandiosità. Investendo nell’immagine della grandiosità, il bambino e futuro adulto nega e supera la propria dipendenza e vulnerabilità. Sviluppa un’immagine – segreta o meno – di specialness, di essere speciale, superiore agli altri, simply the best.
Troviamo qui una fonte importante del fascino, del grande carisma, che la figura del leader può esercitare sui propri seguaci. Va comunque riconosciuto che la funzione di leadership come tale non è per forza negativa; anzi, se rivolta a buone cause, può mobilitare enormi sforzi positivi, come l’esempio di Wilhelm Reich e dello stesso Alexander Lowen dimostrano. Se sono però al servizio del proprio potere personale, le qualità di un leader facilmente si trasformano in arroganza, disprezzo, indifferenza verso l’altro e assenza di principi morali.
Sono proprio queste qualità socialmente avversive che stanno alla base della Dark Triad of personality, della “Triade oscura della personalità”. In questo interessante costrutto teorico sono raggruppati i tratti sia comuni che specifici di tre quadri di personalità: il narcisismo, il machiavellismo e la psicopatia (Paulhus e Williams, 2002). Messi insieme nella forma triangolare di una piramide, permettono, nelle loro somiglianze e differenze, uno sguardo approfondito sul lato umano oscuro nella vita interpersonale e sociale. Mentre nel narcisismo prevale un senso di grandiosità e superiorità, troviamo nel machiavellismo un atteggiamento freddo, manipolativo, moralmente indifferente e strettamente focalizzato sul proprio interesse personale. La psicopatia si distingue per un comportamento ulteriormente egocentrico, insensibile, spesso impulsivo e aggressivo, e per la mancanza del senso di colpa.
Senza poter qui entrare nella discussione scientifica, va sottolineato che narcisismo, machiavellismo e psicopatia sono tre profili psicologici diversi e ben distinti. D’altra parte, è ovvio che nella Dark Triad si trovano notevoli sovrapposizioni e comunanze, sia a livello teorico che soprattutto nel comportamento concreto delle persone. Colpisce comunque il fatto che il particolare tratto che accomuna e permea, come il “male oscuro” (Giuseppe Berto), l’insieme dei tre profili di personalità, è la mancanza di empatia. A questo punto si pone la domanda come mai sia possibile, data la nostra comune natura umana, che in un certo tipo di persone possa venire a mancare l’empatia?
L’empatia, comunemente intesa come la capacità di mettersi nei panni di un altro, in verità è un concetto molto complesso. Se prendiamo da Wikipedia una definizione corrente, viene generalmente descritta come “la capacità di riconoscere, comprendere e condividere emozioni, pensieri, stati d’animo e sentimenti altrui”. Ma è proprio questo insieme di elementi affettivi e cognitivi a caratterizzare la natura altamente complessa, multiforme, se non enigmatica dell’empatia.
In questo contesto sembra molto illuminante la distinzione, elaborata dallo psichiatra e filosofo tedesco Thomas Fuchs, tra due forme elementari di empatia: l’empatia primaria e l’empatia ampliata (Fuchs, 2017). L’empatia primaria nasce spontaneamente dalla risonanza corporea, dall’immediata connessione sensomotoria tra il neonato e la madre. È una forma preverbale di “conoscenza relazionale implicita”, e in questo senso Fuchs afferma che “la comunicazione corporea è il linguaggio primario delle emozioni”. L’empatia primaria ci accompagna e ci guida per tutta la vita.
L’empatia ampliata (o anche empatia cognitiva), invece, presuppone ulteriori sviluppi di crescita psichica e mentale che il bambino matura solo nel corso del terzo e quarto anno di vita. Un famoso esperimento dimostra questo sviluppo in maniera esemplare: se si mette il disegno di una tartaruga tra un bambino e un adulto chiedendo al bambino come l’adulto vede la tartaruga – cioè, in maniera inversa -, un bambino di due anni presuppone ingenuamente e del tutto ego-centrica che l’adulto veda la tartaruga allo stesso modo come la vede egli stesso. Solo più tardi, nel corso del terzo e quarto anno di vita, il bambino svilupperà la capacità di “decentramento”. Sviluppa cioè la capacità di avvertire l’alterità dell’altro, di assumere la sua prospettiva diversa dalla propria, di immaginarsi la sua vita interiore e di vedersi con gli occhi degli altri. Non a caso, tra le grandi emozioni umane, l’ultima a emergere è la vergogna.
Questo enorme processo di crescita emotiva e cognitiva risulta nello sviluppo di una Theory of Mind, di una “teoria della mente” da parte del bambino. In essa confluiscono, come abbiamo visto, due forme e stadi diversi di empatia, l’empatia primaria e l’empatia ampliata o cognitiva. Possiamo a questo punto intuire l’enorme portata di questo concetto: “L’empatia nel senso vero e proprio della parola significa l’integrazione tra empatia primaria, intuitiva a e empatia cognitivamente ampliata” (Fuchs, 2017, p. 160).
Ma sembra che proprio l’integrazione delle due forme costituisca un nodo problematico dell’empatia. Eravamo partiti dalla mancanza di empatia come tratto comune all’interno della Triade oscura, e ci eravamo chiesti come mai in determinati tipi di personalità l’empatia possa mancare. Forse la distinzione di Fuchs tra due gradi e forme diverse di empatia può dare una risposta, almeno parziale, al nostro quesito. Sicuramente l’empatia primaria costituisce la matrice originaria del nostro essere corpo, del nostro essere-al-mondo, del nostro essere umani. Sulla base di questa matrice originaria si sviluppano poi forme più elaborate di empatia. Sono forme cognitivamente mediate, ed è questo elemento cognitivo, di consapevolezza, – di conoscenza del “bene e male” – ad aprire uno spazio di libertà tipicamente umano. Queste forme di empatia ampliata permettono sì la possibilità di immedesimarsi nell’altro, di partecipazione e condivisione intima. Ma proprio tale capacità di immedesimarsi può essere usata anche contro l’altro, per prevedere le sue reazioni e per manipolarlo ai fini propri. In questo caso si parla giustamente di empatia fredda, al servizio di un Ego grandioso.
Bibliografia
Fuchs, Thomas (2017): “Stufen der Empathie”. In: Verkörperte Gefühle. Berlin: Suhrkamp Verlag, 2024, p. 142-176.
Lowen, Alexander (1958): Il linguaggio del corpo. Milano: Feltrinelli, 1978.
Lowen, Alexander (1975a): Bioenergetica. Milano: Feltrinelli, 1983.
Lowen, Alexander (1975b): “Comportamento psicopatico e personalità psicopatica”. In: La voce del corpo. A cura di Alessandra Callegari e Luciano Marchino, Roma: Astrolabio, 2009, p. 254-275.
Lowen, Alexander: (1983): Il narcisismo. Milano: Feltrinelli 1985.
Paulhus, Delroy L. e Williams, Kevin M. (2002): “The Dark Triad of Personality” In: Journal of Research in Personality 36, p. 556-563.