Un mattino verso le dieci un pugno immenso comparve nel cielo sopra la città; si aprì poi
lentamente ad artiglio e così rimase immobile come un immenso baldacchino della malora.
Sembrava di pietra e non era pietra, sembrava di carne e non era, pareva anche fatto di nuvola,
ma nuvola non era. Era Dio; e la fine del mondo. (D.Buzzati, La fine del mondo)
Il 2020 ha inizio e un’ombra irrompe sulla vita delle persone, sul mondo.
Tutto irrimediabilmente cambia: velocemente, inaspettatamente, ineluttabilmente.
La necessità di adattarsi ad una nuova condizione sospesa, scandita da decreti e direttive,
diviene imprescindibile. Adattarsi, la forma più concreta della competenza animale e umana;
trasformarsi, per garantirsi la sopravvivenza al mutare delle condizioni circostanti, diviene
imprescindibile.
Così com’è sempre stato.
Charles Darwin nel suo trattato L’ origine della specie sosteneva che non è la specie più
intelligente che sopravvive, né quella più forte, ma quella maggiormente in grado di adattarsi
alle modificazioni dell’ambiente in cui si trova. Probabilmente la più importante forma di
intelligenza, che attualmente viene considerata un multi – concetto articolato, è la capacità di
adattamento ai cambiamenti.
Dino Buzzati ci consegna un’immagine potente, che descrive, metaforicamente, una situazione
simile a quella che stiamo vivendo. I sentimenti in gioco, per gli abitanti di quel villaggio, così
come per gli abitanti del mondo, oggi, potrebbero non essere dissimili.
La letteratura, come spesso accade, anticipa i tempi, la fantasia li pre-vede.
Un’ ombra con la quale dobbiamo fare i conti; sanitaria, economica, psico-emotiva. Tre
emergenze di cui una ancora è nascosta, latitante, poco nominata nel turbinio delle news.
Di quest’ultima vorrei accennare.
Ci troviamo di fronte al tema della solitudine, della paura della malattia, della morte.
Sicuramente la fine di qualcosa che non potrà e non dovrà essere identico a prima; quel prima
che ci ha portato a tutto ciò che stiamo vivendo.
Fare la stessa cosa aspettandosi risultati diversi è follia, diceva Albert Einstein.
Speriamo di non ri-scoprirci folli dopo questa pandemia!
Ogni spiegazione o interpretazione di quello che sta accadendo, delle cause, delle
responsabilità, delle risoluzioni, siano esse fataliste, karmiche, complottiste, scientifiche,
visionarie, astrologiche, realistiche, paranoiche, creative, religiose, metafisiche, animaliste,
esoteriche, ambientaliste, vanno bene. Ognuno scelga quelle che preferisce, che più lo
rappresentano, quelle a cui credere.
Tuttavia, la realtà è la realtà. Non è ermeneutica, non è ideale; è tangibile, concreta, solida,
materica.
Siamo chiusi in casa, arrestati a domicilio, a so-stare con le nostre le nostre sensazioni, le
nostre frustrazioni, presenti e passate, le nostre paure, presenti e passate, i nostri irrisolti,
presenti e passati, senza vie di fuga.
Questa situazione può esasperare problemi pre-esistenti davanti ai quali si è frequentemente fuggiti.
In realtà anche oggi, come ieri, vie di fughe continuano ad essercene: le finestre, i balconi e i giardini
privati ai quali ci possiamo affacciare per ore d’aria, gli infiniti pertugi sul mondo di internet, la mente,
che può viaggiare senza confini, l’ansia.
L’ansia come via di fuga per nascondere a noi stessi i sentimenti che le situazioni e le
esperienze di vita, compresa questa, ci procurano; paura, rabbia, sgomento, incredulità,
impotenza, perdita di controllo, senso di insicurezza, di incertezza, di inadeguatezza, terrore,
angoscia.
Quando non possiamo o non sappiamo vivere esperendo l’intera gamma di
sensazioni, sentimenti ed emozioni che nascono dentro noi e muovono fuori di noi, il sintomo
che emerge, il tappo che li tappa, si può chiamare ansia.
Questo avviene perché abbiamo imparato a funzionare così: quando li celiamo a noi stessi, li
neghiamo, li rimuoviamo, li intellettualizziamo, li razionalizziamo, l’ esperienza
fenomenologica risultante è l’ansia. Un vissuto indifferenziato che produce disagio, fastidio,
sofferenza e perfino un’importante limitazione delle attività e delle libertà personali.
Molto spesso questo meccanismo protettivo ha un costo più elevato dell’esperienza del
sentimento che nasconde; quasi sempre ingaggia un rischio più alto di quello che correremmo
ad aprirci maggiormente o pienamente a noi stessi.
Ma, abbiamo imparato a fare e a funzionare così.
Anche in questa situazione, la risposta può essere l’ansia.
L’ansia per il tempo presente e per quello futuro, fatto di dubbi e incertezze.
Possiamo ipotizzare che l’ansia sia il sintomo percepito di un antico meccanismo difensivo,
che si è strutturato al fine di proteggerci da un sentire fatto di disagio e dolore, che
inconsciamente ha trovato la strada della rimozione dalla percezione. Questo meccanismo, col
passare del tempo, è sopravvissuto alla sua utilità, continuando automaticamente ad
intervenire rimuovendo sensazioni e vissuti e producendo un sintomo, l’ansia appunto, che
produce disagio.
Questa ipotesi trova conferma nella mia esperienza clinico – terapeutica e la ritengo fondata.
Una crisi è potenzialmente portatrice di due vissuti: uno di pericolo e uno di possibilità, di
opportunità di cambiamento, di tras-formazione.
Sicuramente questa crisi individuale/sociale/mondiale/sanitaria/economica/politica/
ambientale, deve essere affrontata, da oltre quattro miliardi di persone, nella solitudine dei
lock-down, lock-self, locked-in (mi si perdoni l’uso improprio della categoria diagnostica).
Questo pugno, questo alone di pericolo, questo fantasma microscopico, pervade la realtà di
questo tempo, sopra di noi, davanti, dietro, dentro a noi. Il virus è diventato un pensiero
rimuginante, ossessivo nella peggiore delle ipotesi; una minaccia sempre presente.
Vie di fuga legali e permesse dai DPCM, ce ne sono: internet in primis, con i fioriti zoom, goto
meeting, web meeting, skype, chat e tutorial di ogni tipo. Ma anche le possibilità create dalla
disponibilità tecnologica, non risolvono il problema dell’ansia, così come non lo risolvevano
nel tempo normale, nel tempo di prima: lo sublimavano, lo aggiravano, lo fregavano.
Ma l’ansia, pluf, sbuf, voilà… compariva.
E compare, anche oggi.
Inaspettata.
Ospite indesiderato, come i virus.
Blaise Pascal, quasi quattrocento anni fa, nei suoi Pensées, indagava sul divertissement, sulla
spinta dell’uomo a cercare in continuazione divertimenti e distrazioni, dal più semplice
contadino che gioca a carte, al Re che va a caccia per proteggersi dal pensiero della propria
condizione umana.
Egli scrive: Quando a volte mi sono messo a considerare le molteplici
inquietudini degli uomini, e i pericoli, e i patimenti ai quali si espongono nella Corte e nella
guerra, da cui nascono così tante discussioni, passioni, imprese ardite e non di rado malvagie, mi
sono spesso detto che tutta l’infelicità dell’uomo viene da una cosa sola, il non saper restare
tranquilli in una stanza. (B. Pascal, Pensieri)
Ora, nella stanza, ci dobbiamo stare, per forza.
Come si fa a stare tranquilli, soli, in una stanza?
Possiamo esercitarci? Possiamo imparare a farlo?
Questa è probabilmente una possibilità, un’opportunità per questo tempo sospeso, questo
tempo in eccesso, fuori dall’ordinario; questo tempo tornato, finalmente, disponibile.
Imparare a stare con sé, a fare nuova e buona esperienza di sé, esplorare la possibilità di
stare, maggiormente, semplicemente, con sé, poco poco, il tempo sostenibile, poi un poco di
più e ancora un pochino in più… scoprendo via via che potremmo essere già capaci, in tanti, di
farlo e che non succede nulla, nulla ci travolge e l’ansia, probabilmente diminuisce.
Imparare a frequentarsi, a stare in presenza di sé, presenti a sé, quale sana via di fuga, per
proteggersi dal mondo, sempre accessibile, sempre gratuita.
Basta fermarsi.
Respirare.
Stare.
Respirare (meglio nella pancia).
Concedersi tempo.
Respirare.
Se dovesse arrivare paura, la si può provare a … respirare, rallentando e osservando quello
che accade. Scopriremo che aprendosi ai sentimenti, questi spesso si processano, si evolvono,
si consumano, si esalano, vivendoli.
Se dovesse comparire rabbia, rallentando e osservando quello che accade, la si può provare
a… respirare, accogliendola, nominandola e tentando di consumarla nell’azione. Posso tentare
di consumare la quota di energia che si produce in un organismo sottoposto ad una
costrizione, un insulto, un attacco, una privazione, una paura, posso provare a consumarla in
un modo adeguato e funzionale, che mi alleggerisca e liberi.
Citando queste due emozioni di base, paura e rabbia, cito due esempi di sentimenti,
probabilmente presenti nei nostri corpi – sé in questo momento sospeso, fatto di assenze.
Citando questi due sentimenti (sentimento come fatto privato, come movimento intimo, che
non mira, ancora, all’adattamento all’ambiente, ma ne è un precursore) vorrei ipotizzare che
se imparassimo ad accoglierli, a farli diventare emozione (da emòtus, muovere fuori,
movimento individuale – relazionale – sociale finalizzato a produrre un comportamento, o
risposta, di adattamento all’ambiente) probabilmente il tappo che si mette di mezzo tra
sensazione, sentimento ed emozione diminuirebbe la sua pressione, la sua necessità, facendo
diminuire il sintomo o l’effetto che produce: l’ansia, appunto.
“Potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e tuttavia ritenermi Re di uno spazio infinito, se non
fosse che faccio brutti sogni”. (W. Shakespeare, Amleto)
Amleto usava la mente per sentirsi, immaginarsi, viversi, re dello spazio infinito?
William Shakespeare intendeva questo?
E’ sicuramente una possibilità; l’immaginazione ci può portare ovunque, velocemente, ma
funziona solo un po’.
Va aggiunto un pezzo: il corpo.
Il luogo dei sentimenti, dei comportamenti emotivi – adattivi e dell’ansia è il corpo.
Attualmente è il corpo, il nostro corpo sociale ad essere bloccato per tentare di contenere
questa emergenza, questa situazione di pericolo. E’ il corpo che vive l’ansia, il disagio, il
dolore, la frustrazione, l’insofferenza, la paura, la rabbia.
La mente ci aiuta a farne un’esperienza riconosciuta e di senso, laddove possibile.
Bloccando i movimenti individuali e relazionali, distanziandoci socialmente, ci viene prima
proposto, e poi ordinato, di attuare comportamenti di protezione individuale e sociale. Atti
dall’alto profilo civico ed etico, dall’indiscusso vantaggio sanitario ed epidemiologico, che di
riflesso ha pure prodotto un rinnovato senso di appartenenza patriottico. Una rinfrescata
identità nazional – popolare fatta di bandiere ed inni italiani sventolati e suonati ai balconi,
fatta di colleganza, fratellanza, solidarietà, tolleranza, ritrovata umanità, nel tentativo
sanissimo di proteggere noi stessi, i nostri cari, la nostra, seppur imperfetta, pubblica sanità.
Valori da rispolverare, riabilitare, rivalutare, compresi quelli delle relazioni reali, vis a vis,
delle strette di mano, degli abbracci, di cui ora sentiamo la mancanza.
Il valore della salute, della vita.
Ma la paura e i brutti sogni, citati da Shakespeare spesso, rimangono.
I sentimenti nascono, si insinuano, si accendono, si incarnano, nel corpo, senza deciderlo.
Succedono come un temporale, come l’alta marea o il colore di una foglia.
Movimenti di una natura che avviene, si dispiega, ingiudicabile.
Paura e rabbia.
Ci troviamo a combattere contro un “nemico” della dimensione di 100/160 NanoMetri. Superinvisibile.
Il virus non ha un’anima, non odia gli umani. Vuole semplicemente sopravvivere,
cercando ospiti che gli diano un passaggio, gli diano la possibilità di farlo.
Il virus e l’uomo parrebbero avere una cosa in comune: entrambi distruggono l’ambiente che
li ospita. Un tema enorme, urgentissimo.
Le poche armi a disposizione dell’OMS, degli Istituti Superiori di Sanità, delle popolazioni, in
attesa di vaccini e farmaci efficaci, comprendono il distanziamento sociale: nessuno incontri
nessuno. E stanno funzionando.
Davanti a un qualsiasi aggressore che mette a repentaglio la sopravvivenza, nella filogenesi
umana, darwiniana, l’organismo umano ha predisposto tre risposte comportamentali indotte
da tre differenti risposte del sistema nervoso autonomo.
Non dieci, venti o cento. Tre: lotta, fuga, ritiro/congelamento.
La nostra fisiologia influenza profondamente la qualità dei processi psicologici e le nostre
sensazioni determinano cambiamenti nella nostra fisiologia. L’azione, l’equilibrio tra le
diverse branche del sistema nervoso autonomo (simpatico e parasimpatico) concedendo e
ritirando energia metabolica, producono queste tre risposte bio/neuro/emotive/
comportamentali.
Da centinaia di migliaia di anni.
Contro un nemico che, potendolo vedere, potremmo sconfiggere con uno sputacchio di
amuchina, quello che ci viene proposto di attuare, quello che possiamo fare, quello che
funziona è il ritiro/congelamento: degli individui, delle comunità, delle città, delle nazioni, del
mondo. Tutti chiusi nel frigorifero.
Immaginate di salire su un ring e dover combattere da una posizione rannicchiata, con gambe
(per fuggire) e braccia (per sferrare pugni) legate.
Contro un pugile grosso e cattivo, che vuole menare di brutto.
L’unica risposta possibile e probabile, sarebbe la paura, il terrore.
Se nella nostra stanza/ufficio/vita/prigione comparisse davanti a noi, all’improvviso, un
leone, non potendo lottare o fuggire, la risposta adeguata (sentimento ed emozione) sarebbe
quella di paura/terrore, che ci porterebbe ad immobilizzarci, a congelarci, fino a sembrare
morti, sperando che il leone ci scambi per un mobiletto dell’Ikea.
Col virus possiamo solo ritirarci, ma questo per molti, comporta alcune implicazioni
significative.
Lo stress è la reazione di adattabilità a qualsiasi richiesta venga fatta ad un individuo e si
compone di tre fasi: la prima è quella di allarme, a seguire c’è la resistenza (capacità di
resilienza) e in fine la fase di esaurimento. Se il processo si allunga nel tempo si possono
produrre disfunzioni o danni organici: crampi, dolori muscolari, condizioni psicosomatiche di
ogni tipo e grado, disregolazioni emotive e comportamentali, ansia, fino al determinarsi di una
malattia da adattamento (depressioni, fobie, sindrome post traumatica da stress, etc).
Se sostiamo troppo tempo nella risposta della paura, del ritiro e del congelamento (in modo
conscio o inconscio), il nostro corpo, in risposta a questa condizione di stress, o trauma
cumulativo, si difende contraendosi, limitando, per esempio, il flusso e la profondità del
respiro, che a sua volta non permetterebbe una sufficiente ossigenazione dei tessuti quale
condizione necessaria per rilassarsi o per tenere alto il livello del sistema immunitario.
E la rabbia cosa c’entra?
La rabbia, il risentimento, il disagio, il fastidio, l’insofferenza, il rancore, verso chi ci blocca, chi
ci sequestra (virus, istituzioni, i nostri figli), chi ci chiude in casa, che fine fa?
Che fisiologia ha?
Limitando la nostra energia aggressiva (da ad-gredior > andare verso o avvicinarsi) limitiamo
il motore che ci serve per andare nel mondo a perseguire i nostri scopi, la nostra
soddisfazione, i nostri sogni.
Per trattenere, bisogna contrarre.
Ad una contrazione, in uno stato di funzionamento fisiologico ottimale, sano, deve conseguire
una distensione; se ciò non avviene per molto tempo possono iniziare a comparire sintomi di
varia natura.
Se non consumo una spinta energetica che mira a diventare qualcosa (ad es. una sensazione,
un sentimento, un’emozione, un comportamento) quella spinta, tappata, produrrà effetti: un
blocco/nodo/dolore all’altezza del diaframma/stomaco, una pressione al petto, disturbi
intestinali, del sonno, del tono dell’umore, leggera/media/forte inquietudine e
contemporaneamente l’esperienza dell’ansia.
Quel tappo provocherà un disagio.
E’ tutto più complesso di così, ma alcune semplificazioni possono consentirci di costruire un
senso a quello che sta accadendo.
Come fare allora?
Quali costruzioni/pratiche/azioni possiamo coinvolgere per tentare di affrontare meglio
questa condizione umana, in questa situazione spazio-temporale?
COSTRUZIONI PER L’USO.
Queste considerazioni non vogliono essere né istruzioni, né prescrizioni, ma un suggerimento
per tentare di costruire, quotidianamente, una forma di resistenza proattiva alla complessa
emergenza sanitaria, sociale ed economica dovuta al COVID-19. Un tentativo di alimentare la
capacità intrinseca di ogni persona di affrontare una condizione di stress, anche prolungato e
di viverne non solo il pericolo, la fatica e il dolore, ma anche l’opportunità.
Tutto quello che scrivo riguardante questo momento storico, è valido anche una volta
terminato, non scade come la mozzarella.
Alla semplice cornice teorica appena descritta, vorrei aggiungere un piccolo pezzetto di
pratica empirica, dei frammenti di costruzioni, come piccoli mattoncini di lego, per tentare di
lavorare a un’impalcatura esperienziale che ci permetta di alimentare quei processi di
resilienza ed empowerment individuali, utili ad affrontare meglio il tempo presente. Per
cercare di costruire un incarnato senso di forza e coraggio che permetta, in questa condizione
di isolamento, di contrastare e prevenire la paura, la rabbia e l’ansia.
Propongo due aree di attività corporea. Semplicemente due:
1) respiro;
2) movimento intenso-aggressivo.
Mobilitando quotidianamente queste due esperienze umane, qualche minuto al giorno, in
modo diverso dal solito, possiamo cercare di creare, o mantenere, una condizione funzionale
favorevole, facilitante, per stare nel nostro isolamento, per tentare di prevenire eventuali
movimenti emotivi disagevoli di questo tempo. Allo stesso tempo per cercare di preparare, e
sostenere, al meglio il momento in cui torneremo nel mondo, alla nuova normalità che ci
attende, quando i provvedimenti di restrizione della libertà saranno via via rimossi, sapendo
che il temuto “nemico” sarà probabilmente ancora in circolazione.
Attività da realizzare non in ottica performativa (quella ci porta alla fuga, al narcisismo,
all’egotismo), ma in ottica esperienziale, esplorativa, non giudicante, curiosa, attenta a ciò che
emerge.
Non è importante il risultato, ma il processo di conoscenza che si fa strada durante
l’esperienza.
L’importante è provare a stare, quanto sostenibile e possibile.
Immaginiamo di poter coinvolgere piccole azioni quotidiane, per pochi minuti al giorno, al
fine di strutturare una condizione che ci restituisca, implicitamente, costantemente,
incarnatamente, enterocettivamente… una maggiore sensazione di forza, come antagonista
alla paura o alla rabbia inconscia, all’ansia percepita, che, probabilmente, alimentava i brutti
sogni di Amleto (di Shakespeare, direi) e, forse, anche i nostri.
Le pratiche corporee suggerite (costruzioni) sono mutuate prevalentemente dall’esperienza, e
dal lavoro clinico, dell’Analisi Bioenergetica, un approccio psicoterapeutico a orientamento
corporeo.
Alcune sono rubate da altri approcci o frutto di contaminazioni nella mia esperienza clinica.
Quasi tutte hanno nomi di fantasia.
1) RESPIRO
Fatelo come volete, ma respirate!
Concedetevi, prendetevi e organizzatevi alcuni momenti, all’interno della scansione
giornaliera fatta di vuoto/pieno/vita/radio/web/noia/bambini/genitori etc…, in cui decidete
di respirare più del solito. Meditazione, mindfulness, tecniche di canto, di teatro; quello che
conoscete va bene. Quello che vi inventate va bene. Ma, respirate!
Osservate come state respirando in questi giorni; vi accorgerete che lo fate poco, che non
respirate a sufficienza per stare bene, ma solo per sopravvivere. Quando qualcosa ci
preoccupa, ci spaventa, ci ferisce, ci fa arrabbiare, una potente risposta organismica
difensivo/protettiva, fin dal primo giorno di vita, è quella di ridurre il flusso del respiro.
Respirare meno significa diminuire l’attività metabolica disponibile al sentire; sentire paura,
dolore, preoccupazione, rabbia etc… Una risposta inconscia da contrastare, soprattutto in
questi tempi ombrosi.
Se durante la giornata puoi portare l’attenzione al tuo respiro ti accorgerai che,
probabilmente, è corto, ai minimi termini, soffocato, sospeso in alto, in basso, bloccato alla
gola, al diaframma.
Prova a darti il tempo per respirare maggiormente.
Se compare un senso di vertigine, iperventilazione o ansia che ti spaventa, perché stai
respirando troppo, riprendi a farlo normalmente. L’ansia che potrebbe comparire
aumentando l’ossigeno nel corpo, sembrerebbe contraddire quello che ho scritto in
precedenza; in realtà è semplicemente il modo di funzionare che hai consolidato nella vita e
che andrebbe destrutturato: respiro > sento di più > mi spaventa inconsciamente quello che
sento > mi chiudo inconsciamente (intervengono sistemi difensivi somatici – rigidità)> non
respiro> ansia.
Aprirsi al respiro e al sentire potrebbe attivare, per qualcuno, il meccanismo dell’ansia, ma è
importante non rimanere bloccati in questo funzionamento.
Se è sostenibile prova, coraggiosamente, a respirare un po’ di più.
A volte si fanno belle scoperte.
In linea teorica se continuerai a respirare, amplierai progressivamente l’esperienza tollerabile
prima che compaia ansia, scoprendo via via che non c’è più nessun motivo di doversi
difendere da sentire/sentimento/emozione e il meccanismo del tappo/ansia lentamente, si
destrutturerà.
Ci vuole un po’ di tempo, ma non è il caso di procrastinare questo cambiamento.
Nella mia esperienza clinica succede quasi sempre così e i grandi maestri (Alexander Lowen
in primis) ce lo hanno insegnato.
Di seguito suggerisco alcune costruzioni, semplici attività, sulla respirazione:
1a Costruzione: respiro e spazio
Pensa il respiro come un’esperienza, una funzione, legata allo spazio.
I polmoni si espandono dove trovano spazio e, siccome sono fatti, all’incirca, come delle pere,
la parte più utile da coinvolgere, da espandere, per respirare maggiormente, per apportare
maggiore ossigeno utile alla vita e alle altre funzioni metaboliche, è la parte bassa. Per tutti gli
esercizi sul respiro, così come per tutti i lavori corporei che ti propongo, fai spazio nella parte
bassa, respira nella pancia.
Prova semplicemente ad allentare la tensione, la rigidità, del ventre, dei muscoli addominali,
per fare spazio, per permettere alla pancia di riempirsi, gonfiarsi d’aria. Prova a respirare
nella pancia e magari fai anche attenzione a lasciare scendere le spalle, nel caso ti accorgessi
che stanno “tirate su”.
2a Costruzione: osservare il respiro e intervenire
Fermati un attimo, sospendi temporaneamente quello che stai facendo.
Porta attenzione al respiro, così com’è, come funziona in questo momento.
Osservalo, a fondo.
Se ti accorgi che stai respirando poco, che sei in apnea, che ti sembra di non avere aria a
sufficienza, fai qualche sospiro profondo, magari emettendo un suono (il suono necessita di
una quantità maggiore di aria e obbliga il diaframma ad una maggiore mobilitazione), e fallo
seguire, per esempio, da 7/10 cicli respiratori completi, e profondi. Nella pancia.
3a Costruzione: rotolo
Piegando un plaid crea un rotolo, della larghezza di almeno 50 cm. Poi distenditi supino su un
letto o su un tappetino, con i piedi appoggiati e radicati a terra. L’attività va fatta
posizionando, in diversi momenti, questo rotolo:
– sotto l’ombelico (pancia);
– sotto il diaframma (bocca dello stomaco);
– sotto il petto (altezza scapole).
Scegli tu l’ordine o la posizione che senti più opportuna, rispetto alle indicazioni che ricevi dal
tuo corpo: se da tempo senti un nodo allo stomaco, una pressione al petto, l’addome teso,
allora queste saranno indicazioni precise per agire su quei punti.
Il rotolo produrrà una sollecitazione verso l’alto di questi distretti corporei nei quali ci sono
importanti muscoli, spesso contratti, coinvolti nella respirazione: muscoli addominali,
intercostali e pettorali, diaframma.
Una volta adagiata/o sopra il rotolo porta il respiro in basso, nella pancia. Se ti produce dolore
o una sollecitazione limitata, regola la dimensione del rotolo.
Fai spazio al respiro, in basso. Inspira un po’ più del solito e, se ti è possibile, fai una breve
pausa; espira lentamente e un po’ più a lungo del solito e, se ti è possibile, fai una breve pausa.
E così via.
Mantieni questa sequenza di respiro per qualche minuto variando via via la posizione del
rotolo.
Puoi provare ad emettere un tono sull’espirazione, ad esempio una Aaaa lunga; allungando il
tono allungherai l’espirazione.
Con il rotolo sotto al diaframma o sotto al petto, puoi provare ad allungare le braccia
all’indietro, con i palmi delle mani vicini che si guardano.
Cerca di rilassarti, datti tempo per respirare. E’ un tempo prezioso, puoi regalartelo.
Alla fine puoi provare ad osservare, notare, sentire gli effetti dell’esperienza, sapendo che per
sentire serve tempo.
4a Costruzione: auto massaggio al diaframma
Distesa/o supina/o su un letto o su un tappetino, con i piedi appoggiati e ben radicati a terra,
respira gonfiando la pancia, facendo spazio nella parte bassa. Inspira un po’ più del solito, fai
una breve pausa; espira lentamente e un po’ più a lungo del solito, fai un breve pausa. E così
via. Puoi provare ad emettere un tono sull’espirazione.
Aggiungi un massaggio, una sollecitazione, nella zona del diaframma: sull’espirazione entra un
pochino con le dita delle mani alla fine dello sterno (bocca dello stomaco) o alla fine del
costato, accompagnando l’espirazione e calibrando una pressione che produca sensazioni in
quel territorio in cui dolore e piacere sembrano confondersi.
In alternativa si può sollecitare/massaggiare il diaframma, sempre sull’espirazione,
utilizzando una mano chiusa a pugno e il rinforzo dell’altra che può calibrare la spinta del
“pugno che entra nella pancia”.
E qui rilassati, respirando a fondo e datti tempo per sentire gli eventuali effetti sul corpo.
5a Costruzione: respirazione inversa
Ho scoperto questo esercizio, questa interessante costruzione, in rete.
Cerca di sincronizzare i movimenti della testa con le fasi del respiro, in questo modo:
inspirando, lentamente la testa viene reclinata all’indietro, la nuca scende verso la schiena
cercando di sincronizzare il più possibile movimento e respiro, che iniziano e finiscono
insieme. Fai seguire una breve pausa sia del respiro che del movimento, una piccola apnea.
Raddrizza lentamente la testa mentre espiri, cercando anche qui di fare combaciare
movimento e respiro, che iniziano e finiscono insieme. Fai una breve pausa. Inspirando lascia
scendere la testa in avanti puntando il mento verso il petto; breve pausa. Raddrizza
lentamente la testa nell’espirazione, sempre sincronizzando movimento e respiro; breve
pausa.
A questo punto si introduce una variabile; si invertono, rispetto alla prima sequenza,
movimento della testa e movimenti respiratori. Infatti, con una mezza fase del respiro, quando
la testa è eretta, e rimane ferma, si può invertire il movimento e la fase respiratoria e
ricominciare a praticare. Quindi: espirando la testa viene reclinata all’indietro (breve pausa)
ed inspirando viene riportata in posizione (breve pausa); espirando lascia scendere la testa
verso il petto (breve pausa) poi inspirando riportala in posizione (breve pausa). Sembra
complicato, ma si impara facilmente ed è un lavoro molto interessante ed utile.
6a Costruzione: testa fuori
Facciamo spesso fatica a “staccare la testa”, a spegnerla, a lasciare il controllo. Soprattutto
quando siamo preoccupati, spaventati, arrabbiati.
Proviamo così: distesa/o supina/o su un letto, con i piedi appoggiati e radicati al materasso.
Fatti scivolare all’indietro, fino a che, lentamente, la testa fuoriesce dal bordo del materasso.
Scegli tu quanto abbandonare la testa e cedere peso allungando i muscoli del collo fuori dal
letto.
Fai sempre esperienze tollerabili, senza forzare le posizioni, che significherebbe sollecitare
una contrazione difensiva, l’esatto opposto di quello che vogliamo ottenere.
Con la testa abbandonata fuori dal bordo del letto, allenta la stretta della mandibola, rilassala
e respira nella pancia, per il tempo giusto per te.
Quando senti di dover uscire dall’esperienza fallo lentamente, scivolando in avanti, senza
tirare su la testa velocemente, obbligando i muscoli del collo a contrarsi, perdendo l’effetto
distensivo appena prodotto.
7a Costruzione: respirazione fisiologica, in tre spazi
Disteso/a supino/a su un letto o su un tappetino, con i piedi appoggiati e radicati a terra.
Inspira lentamente, facendo spazio: nella pancia, poi nel costato, poi nel petto.
Immaginate un vaso che si riempie di acqua prima in basso, poi a metà poi in alto.
Fai una breve pausa.
Espira lentamente, svuotando l’aria dalla pancia, poi dal costato e infine dal petto.
Lo stesso vaso appena riempito dal basso in su, si svuota dal basso in su.
Breve pausa. E così via.
Questo sarebbe il modo fisiologico di respirare. I bambini nei primi anni di vita lo sanno fare
benissimo, senza che nessuno glielo abbia insegnato. Poi disimpariamo a respirare bene, a
fondo … per difenderci dal dolore.
8a Costruzione: stretching e respiro
Lo stretching credo sia molto sottovalutato; resta, a mio avviso, una pratica potenzialmente
più utile, per il benessere fisico, di altre più di moda. Qualsiasi attività di stretching che puoi
fare è un toccasana, purché tu lo faccia di complemento ad un lavoro sul respiro. In rete sono
disponibili moltissimi supporti a questo tipo di attività, che abbinata ad un respiro
consapevole, attuato con le modalità suggerite precedentemente, può rappresentare una
costruzione molto interessante per le finalità che stiamo perseguendo.
Le attività che coinvolgono il respiro, sono praticamente infinite.
Ogni tentativo di ripristinare una modalità quanto più fisiologica possibile di questa
pulsazione vitale, può impattare in maniera positiva sulla condizione umana e sul benessere
psico – corporeo – emotivo.
Cerca in rete o sui libri che hai in casa, usa queste costruzioni o fallo come vuoi, ma dedica
tempo al tuo respiro, ad aumentare la consapevolezza e la conoscenza di come sta
funzionando in questo periodo, o in generale.
Mettere ossigeno dentro al corpo è necessario per costruire la sensazione di essere vitale,
forte e adulto, per far fronte a situazioni stressanti, per incidere, positivamente, sui livelli di
serotonina, dopamina, sostanze antiinfiammatorie.
2) MOVIMENTO INTENSO/AGGRESSIVO
La mia esperienza clinica conferma che, se possiamo mobilitare aggressività quando siamo
pervasi, consciamente o inconsciamente, da un vissuto negativo di
paura/terrore/impotenza/inadeguatezza/vergogna, lo stato esperienziale muta velocemente,
in un senso di forza, di coraggio, di potenza, di adultità.
Succede quasi sempre così.
Mobilitare maggiori livelli di arousal permette, insieme alla profondità della respirazione, di
iniziare ad allentare lo stato di tensione generale del corpo e di decontrarre tessuti muscolari
e profondi di interi distretti corporei, che si sono irrigiditi nel tentativo di proteggersi dalla
paura, dall’ansia e dal rischio di agire aggressività/rabbia (meccanismo solitamente
inconscio). Questo funzionamento l’abbiamo appreso nel corso della nostra ontogenesi.
Quando qualcosa ci preoccupa, ci spaventa, ci ferisce, ci fa arrabbiare, ci umilia, oltre alla
risposta organismica difensiva/protettiva di limitare/accorciare/bloccare il respiro, quello
che ci accade è, anche, di contrarre inconsciamente i tessuti e i muscoli del corpo. Limitare la
motilità interna di un organismo, per esempio attraverso la rigidità, significa ridurre la
percezione delle sensazioni di disagio, significa difendersi.
Ma nel tempo questo meccanismo diventa disfunzionale.
Abbiamo diversi modi per distendere una catena muscolare, un muscolo, un tessuto: gesto
espressivo, stretching, calore (ad esempio terme), massaggi di vario tipo, tremore neurogeno
o neurogenico. Il coinvolgimento del gesto espressivo/aggressivo è, probabilmente, il più
efficace di tutti, ed è un’attività che si può fare nella propria stanza.
Di seguito, suggerisco alcune costruzioni, semplici attività, che possono coinvolgere il
movimento espressivo, a diversi livelli di intensità/aggressività:
9a Costruzione: 200 calci
Disteso/a supino/a su un letto. La gamba lavora dritta ma rilassata, il movimento parte
dall’articolazione dell’anca e va mantenuto libero (non contrarre i muscoli delle gambe) e
quanto più ampio possibile. Tutta la parte posteriore della gamba, alternatamente, colpisce il
letto, con un buon ritmo e risale immediatamente. Una gamba colpisce mentre l’altra sale. Il
piede è mantenuto leggermente a martello.
Al mattino coinvolgi il 30-50% dell’intensità (forza) disponibile. Dal pomeriggio alla sera puoi
coinvolgere il 60-100% dell’intensità disponibile. Se all’aumentare dell’intensità le gambe si
irrigidiscono diminuisci fino a che il movimento torna fluido.
Il respiro deve essere libero, allungando l’espirazione e inspirando nella pancia.
Sull’espirazione puoi emettere un tono, un suono.
Abbandonati al movimento, quanto puoi. Fallo fino a che non sei stanco.
In alternativa puoi lavorare con le gambe piegate, battendo la pianta del piede (foto a destra).
Quando arriverai a 200/300 colpi avrai guadagnato qualcosa di buono per te: le tue gambe,
senzienti e sostenenti e, anche, un addome più piatto.
Se arriva dolore alle cosce o alla bassa schiena, scoprirai che, una volta terminato il
movimento, passerà velocemente.
Stai incontrando le tue tensioni croniche, ego-sintoniche, ovvero fuori dalla tua percezione.
10a Costruzione: 200 pugni
Distesa/o su un letto, supina/o, con i piedi appoggiati al materasso.
Il braccio lavora dritto, ma rilassato, la mano chiusa a pugno, rilassata. Il movimento parte
dall’articolazione della spalla e va mantenuto libero e ampio, senza contrarre i muscoli delle
braccia e del collo. I pugni, alternatamente, colpiscono il letto, con un buon ritmo. Mentre un
braccio colpisce l’altro sale.
Al mattino coinvolgi il 30-50% dell’intensità (forza) disponibile. Alla sera arriva a coinvolgere
il 60-100% della forza disponibile. Se, all’aumentare dell’intensità, le braccia, le spalle e/o il
collo si irrigidiscono diminuisci fintanto che il movimento torna fluido.
Il respiro deve essere libero, allungando l’espirazione e inspirando nella pancia.
Sull’espirazione puoi emettere un tono.
Fallo fino a che non sei stanco. Se ti sembrerà di poter andare avanti all’infinito aumenta
velocità e intensità.
11a Costruzione: burattino
Distesa/o su un letto, supina/o.
Le due costruzioni/attività precedenti possono essere abbinate ed eseguite
contemporaneamente. Ci potrebbe volere un po’ di tempo prima di riuscirci e non è
indispensabile. Nel caso, sarebbe preferibile attivare un movimento gambe-braccia
monolaterale, ovvero braccio e gamba destra colpiscono, mentre braccio e gamba sinistra
salgono. Le gambe e le braccia lavorano dritte ma rilassate. Il movimento parte
dall’articolazione della spalla e dell’anca e va mantenuto libero e ampio senza contrarre i
muscoli delle braccia e delle gambe. Le braccia, i pugni, le gambe (tutta la parte posteriore)
alternatamente, colpiscono il letto, con un buon ritmo. In alternativa puoi provare a
coinvolgere le gambe piegate, colpendo il materasso con la pianta del piede (foto a destra).
Al mattino coinvolgi il 30-50% dell’intensità disponibile. Alla sera il 60-100%.
Se all’aumentare dell’intensità le braccia, le spalle, il collo, le gambe, o qualunque di queste
parti, si irrigidiscono diminuisci l’intensità fino a che il movimento torna fluido, decontratto.
Il respiro deve essere libero, allungando l’espirazione e inspirando nella pancia.
Sull’espirazione puoi emettere un suono.
Lascia libero il collo e la testa, che dovrebbe muoversi liberamente a destra e sinistra, a
seguito del movimento di gambe e braccia. Fallo fino a che non sei stanco.
12a Costruzione: variabile A 200 calci/200 pugni/burattino: con parole
Le tre proposte precedenti, che ho chiamato 200 calci/200 pugni/burattino, le puoi esplorare
con una variabile nuova, una cornice immaginaria, ma di senso.
Mentre mobiliti il corpo nei modi descritti sopra, puoi pensare ad alcune parole come “via!”,
“basta!”, “no!”, “ vaffa!” e contemporaneamente prova a pensare ad un interlocutore al quale
dirle (ed esempio il virus, il capo ufficio, la moglie, il marito etc ). Puoi mirare ad un (s)oggetto
reale su cui orientare questo movimento espressivo.
Essendo una simulazione, che non può arrecare danno a nessuno, potrai vivere diverse
restituzioni dell’esperienza. Puoi, ad esempio, sperimentare che è comunque difficile farlo,
perché questa energia pare bloccarsi maggiormente se espressa all’interno di questa cornice
immaginaria di senso; oppure che è possibile agire questa bella qualità energetica/motoria
uscendone maggiormente distesi e rilassanti e riuscire in conseguenza a dormire meglio.
13a Costruzione: variabile B, 200 calci/200 pugni/burattino: mandibola e ringhio
Nel distretto che coinvolge la mandibola, l’articolazione temporo – mandibolare, e i suoi
potentissimi muscoli, viene trattenuta, bloccata, inibita una grande quantità di energia buona,
aggressiva. Come ogni spinta che non può consumarsi, si può produrre un effetto collaterale
disfunzionale, come ad esempio entrare nel circuito dell’ansia, del mal di testa, dell’attacco
bulimico, il bruxismo. Tutta l’energia bloccata nei muscoli contratti, ha bisogno di energia per
essere trattenuta, per mantenere la contrazione, producendo un dispendio di “carburante”
enorme, non disponibile ad altro.
Le tre proposte precedenti, che ho chiamato 200 calci/200 pugni/burattino, le puoi esplorare
aggiungendo una ulteriore variabile.
Mentre muovi gambe e braccia, separatamente o contemporaneamente, prova a mobilitare la
mandibola: la parte inferiore si può spostare a destra e sinistra o essere portata in avanti.
Mentre lo fai prova anche ad emettere un ringhio.
Questo può produrre nell’immediato disagio, imbarazzo, vergogna. Col tempo e l’esperienza si
superano questi effetti, salvo acquisire un’attività corporea molto benefica.
14a Costruzione: variabile C, 200 calci/200 pugni/burattino: il grounding
Ecco un’ulteriore variabile, da realizzare prima delle tre proposte precedentemente descritte,
che ho chiamato 200 calci/200 pugni/burattino.
Si tratta di caricare di fatica, tensione, energia, i muscoli di gambe, braccia, schiena, per poi
scaricarli con calci o pugni sul materasso.
Puoi caricare le gambe in diversi modi: sedendoti, appoggiato al muro, su una sedia
immaginaria (1); dalla posizione eretta puoi fare flessioni sulle gambe, sù e giù (2); dalla
posizione di ripiegamento in avanti (bend over) puoi fare flessioni sulle gambe (3).
Le braccia e la schiena le puoi caricare facendo delle flessioni sul pavimento oppure
spingendo a lungo i palmi delle mani uno contro l’altro (1 e 2). A questo punto raggiungi la
posizione supina sul letto e scalcia e sbraccia (200 calci, 200 pugni, burattino), come descritto
precedentemente (4).
3) ALTRI SEMPLICI LAVORI CORPOREI
Alcuni altri semplici lavori corporei potrebbero renderti queste esperienze più articolate,
variegate, meno monotone e possono essere utili agli obiettivi di questo scritto.
15a Costruzione: bastoncino piede o automassaggio piede
Sarebbe importante contattare, massaggiare, sollecitare regolarmente i nostri piedi.
Prendercene cura. Un distretto corporeo di piccole dimensioni, molto articolato, che si fa
carico di una struttura pesante e sviluppata in altezza, quindi soggetto a un forte stress.
Inoltre il piede tende a contrarsi fortemente in conseguenza a stimoli paurosi, strutturando
facilmente contrazioni croniche.
Dalla posizione eretta puoi rullare la pianta del piede su un bastoncino del diametro di 3/4 cm
(per esempio un pezzetto del manico della scopa), o su una pallina da tennis, sollecitando
inizialmente tutta la pianta, poi coinvolgendo l’arco plantare esterno e interno (piegando la
caviglia a destra e sinistra), con una pressione che produca sensazioni in quel territorio in cui
dolore e piacere sembrano confondersi.
In alternativa con le mani puoi massaggiare (magari con un olio profumato) tulle le parti del
piede, le singole dita, la caviglia. Anche a lungo. Dopo aver massaggiato fermati e porta
attenzione a entrambi i piedi, notando eventuali differenze tra quello che ha appena ricevuto
il trattamento e l’altro. A volte l’effetto benefico è evidentissimo.
Prendersi cura dei propri piedi è un buon modo di prendersi cura di sé.
16a Costruzione: 4 posizioni
Per chi non conosce il saluto al sole, un pratica yoga che consiglio vivamente, propongo
un’attività corporea per andare nel corpo, praticabile in qualsiasi momento della giornata.
Si tratta di una semplice sequenza di movimenti che in poco tempo permette di risvegliarci,
aumentare la percezione del corpo intero, guadagnare presenza.
Da ripetere anche tre volte consecutivamente, questa sequenza è da fare lentamente
respirando nell’addome:
1) in posizione eretta, le ginocchia leggermente flesse, le mani agganciate e le braccia si
spingono verso l’alto, mentre il coccige tende verso il basso. Immagina di allungare la distanza
tra le vertebre della spina dorsale. Tienila qualche secondo.
2) Porta le mani dietro la nuca e, avanzando il bacino, assumi col corpo una forma ad arco,
aprendo bene i gomiti e tirandoli all’indietro. I piedi sono ben radicati a terra. Tieni la
posizione qualche secondo. In tutto il corpo potrebbe prodursi in una vibrazione, un tremore
neurogeno; è una risposta corporea salutare, che non ha nessuna controindicazione.
3) Torna nuovamente nella posizione 1, nel caso in cui la bassa schiena si sia stressata e faccia
un po’ male. Resta qualche istante qui.
4) Con le ginocchia un po’ flesse, porta il tronco ad essere parallelo al pavimento, le mani
(agganciate) e le braccia spinte in avanti, il coccige tendente all’indietro. Immagina di
allungare la distanza tra le vertebre della spina dorsale. Resta qui qualche secondo.
5) Mantenendo le ginocchia leggermente flesse, morbide, lascia scendere lentamente le spalle,
le braccia, la testa, verso il pavimento e abbandonati completamente. Tutto il peso del corpo
rimane sui piedi, distribuito su tutta la pianta. Anche in questa posizione, nelle gambe, nel
corpo, potrebbe prodursi una vibrazione, un tremore neurogeno. Se non ti spaventa rimani
quanto riesci, respirando nella pancia.
6) Quando senti che va bene per te risalire, srotolati verso l’alto, spingendo con i piedi sul
pavimento, raddrizzando una vertebra dopo l’altra a partire da quelle sacrali, lombari etc …
17a Costruzione: bend over
Il bend over è un’importante attività/posizione corporea dell’Analisi Bioenergetica. Un modo
per raccogliersi, per ritrovarsi, per chiudersi, per proteggersi, per sentire la forza delle
proprie gambe che sostengono, per allungare/distendere le contrazioni muscolari della parte
posteriore del corpo (gambe, schiena, collo), per allentare la contrazione diaframmatica, per
sollecitare la vibrazione o tremore neurogeno dalle gambe. Per cercare radicamento.
Dalla posizione eretta, con le ginocchia leggermente flesse, i piedi appoggiati in tutte le sue
parti, il respiro aperto nella pancia, lascia scendere la testa, le spalle, le braccia verso il basso,
lentamente, ripiegandoti verso il basso, una vertebra dopo l’altra, partendo da quelle cervicali.
I polpastrelli delle dita delle mani possono arrivare a contattare il pavimento.
Il peso di tutto il corpo rimane sui piedi, equamente distribuito.
Può comparire una vibrazione (o tremore neurogeno).
Anche se faticoso occorre respirare nella pancia. Puoi rimanere quanto vuoi.
Quando senti che è sufficiente risali lentamente, srotolandoti verso l’alto, una vertebra dopo
l’altra. Il corpo risale dalla spinta dei piedi sul pavimento. La testa si raddrizza per ultima,
cercando di contrarre il minimo indispensabile i muscoli del collo.
Prenditi tempo per sentire, per sentirti, per respirare.
18a Costruzione: 3 tocchi ai confini
Dalla posizione eretta, seduta o sdraiata, contatta tutti i confini del corpo, proprio tutti.
Per farlo, puoi utilizzare quattro modalità: picchiettandoti (con i palmi delle mani o con le
mani chiuse a pugno); sfregandoti (come per insaponarti); manipolandoti con vigore (come
per impastarti); accarezzandoti (come per spalmarti delicatamente una crema).
Sulle reni e sulla testa cerca di essere delicato.
Scegli la combinazione, la sequenza o la modalità, che ti produce maggior benessere.
Abbiamo bisogno di definire, percepire, sentire, chiaramente, il nostro confine.
Soprattutto quando avvertiamo la minaccia dell’invasione.
Questo è un modo.
PER CONCLUDERE
Con i miei figli (Camillo Martino, 6 anni e Filippo, quasi 4) da oltre 5 anni, giochiamo con le
costruzioni dei Lego. Ne abbiamo di 2 dimensioni: quelle grandi, usate da più tempo, sono
pochissime; 2/300 pezzi. Con questi pochi pezzi inventiamo e costruiamo infiniti palazzi,
garage, caserme, auto spaziali, aerei, parchi, navi …
Con le poche costruzioni che ti ho proposto, divertiti a imbastire sequenze, a smontarle e
rimontarle in forma diverse o in forme strutturate e abitudinarie, seguendo alcuni principi:
– ogni giorno respira e mobilita aggressività attraverso gli esercizi proposti, rispettando quello
che ti dice/chiede il tuo corpo, ascoltandolo a fondo, a lungo;
– se un’attività non ti produce effetti negativi, falla! Ti farà sicuramente bene. Anche se gli
effetti non sono immediatamente netti ed evidenti, nel tempo lo diventeranno;
– se dopo la movimentazione, o il respiro più approfondito del solito, sentirai qualche
formicolio a piedi e gambe, o al distretto bucco-facciale, devi sapere che è una risposta
organismica positiva. Aspetta che passi e ricomincia. Se arriva nausea, invece, fermati o
rallenta un po’.
Sono convinto che sarebbe sufficiente una sistematica attività corporea di pochi minuti al
giorno (all’incirca quelli che spendiamo per lavarci i denti, o poco più) con attività semplici
come quelle descritte sul respiro e sul movimento aggressivo, per avere effetti significativi sul
proprio benessere psico-fisico ed emotivo.
Antonio Damasio, neuroscienziato portoghese, sostiene che il 100% della costruzione della
nostra esperienza cosciente, avviene tramite informazioni enterocettive. Ovvero, tutti i
tessuti del corpo determinano, con il loro stato di tensione/ rigidità/ collasso/ densità/
gonfiore/ distensione/ flessibilità, le informazioni che creano lo stato di coscienza,
impattando fortemente e costantemente sul vissuto emotivo, mentale e fisico delle persone.
Se i nostri tessuti rimangono per troppo tempo nello stato congelato, ritirato, contratto, che si
è creato in risposta alla vista del leone (o alla paura di essere infettati), anche quando il leone
se ne sarà andato, le informazioni del corpo creeranno, e produrranno, una coscienza
esperienziale imbrattata di paura.
Il leone non c’è più, ma il corpo continua ad informare della sua presenza.
Se assistiamo passivi all’inverosimile situazione creata dal COVID-19, guardando e leggendo
fiumi di news e fake news senza fare nulla o facendo molto poco per noi e per il nostro corpo,
tutto sarà più complicato ed anche smaltire gli effetti di questa esperienza di vita, una volta
terminata, sarà difficile. Rischieremo di avere immagazzinato troppe scorie che nel tempo,
potranno impattare negativamente sul nostro benessere psico-fisico, sulla qualità del sonno,
sul rapporto con l’alimentazione, sul tono dell’umore.
Non credo che tutti saremo colpiti da sindrome post-traumatica da stress, come qualche mio
collega sussurra. Qualcuno in prima linea, come medici, infermieri, operatori sanitari, lo sarà
certamente e se ne dovrà occupare, sperando che lo possa fare col sostegno, e l’aiuto, del
Servizio Sanitario Nazionale.
Allo stesso tempo credo che rimanendo maggiormente aperti alle sensazioni, ai sentimenti e
al respiro e mobilitando sistematicamente il corpo, in particolare nella sua qualità motoria
intensa ed aggressiva, affrontare questa situazione e lasciarsela alle spalle, una volta
terminata, sarà più semplice.
Quanto proposto come attività umana, come cultura del lavoro corporeo sistematico, per la
promozione della salute e del benessere e la prevenzione della malattia vale anche in tempi
ordinari, quando il coronavirus sarà diventato, speriamo presto, un brutto sogno.
Filippo, il mio secondogenito di quasi 4 anni, da tempo fa questa domanda:
E’ vero che il mare non si ferma?
La sensazione è che abbia trovato questa formula per cercare, ed ottenere, una forma di
rassicurazione.
Che ognuno cerchi e trovi la propria rassicurazione, la propria coperta di Linus, la propria
coccola quotidiana, la propria via di fuga se necessaria e consapevole. Tuttavia quando siamo
adulti, possiamo occuparci di noi stessi con intenzione e presenza, con pezzetti di buona
attività corporea, per costruire quotidianamente uno stato di benessere.
Siamo il nostro corpo.
Se avremo imparato qualcosina sulla nostra ansia, e su come gestirla, se avremo guadagnato
presenza di noi stessi, sarà stato un periodo terribile e surreale, ma anche fertile.
Il mare non si ferma, la vita continua, il futuro riprenderà luce!
Buon lavoro corporeo.
Ad maiora.
Stefano Masotti
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